Non s'ha da fare
Non s'ha da fare

Altro che festa de futebol. Brasile 2014 verrà ricordato soprattutto per due motivi: i ritardi e le proteste antigovernative. Il movimento Occupy Coppa è pronto a sfruttare la sua vetrina internazionale per dare voce alla protesta del povo. A prevalere sono  gli scioperi, le repressioni, gli sgomberi. E a farla da padrone resta la rabbia sociale. Sul banco degli imputati trovano posto gli sprechi, la corruzione e la cattiva gestione del denaro pubblico. 

I COSTI - La prima promessa fatta dal governo federale era che i soldi pubblici sarebbero stati stanziati per le infrastrutture: aeroporti, servizi ferroviari, strade, autostrade, metropolitane, e tutto ciò che avrebbe migliorato la qualità della vita dei brasiliani; invece i 12 impianti sportivi (5 da ristrutturare e 7 da costruire ex novo) sarebbero stati finanziati esclusivamente con i soldi privati. Promessa non mantenuta, visto che l'85 per cento dei fondi utilizzati per la costruzione degli stadi è stato concesso dal Bndes, un'impresa pubblica strettamente legata al Ministero dello Sviluppo. Inizialmente il budget di spesa era di 28 milardi di reais (pari a 12,8 miliardi di dollari), tuttavia durante i lavori la cifra è lievitata ulteriormente. Secondo alcune stime, la spesa finale toccherà quota 15 miliardi di dollari. Ma il dato più allarmante è un altro: dal 2007 ad oggi, il costo degli stadi è aumentato del 285%. Ne è un esempio l'Arena Amazonia, costata circa 670 milioni di reais (210 milioni di euro), a fronte dei 515 milioni previsti all'inizio. In questo stadio, sorto a Manaus, sono in programma solo quattro partite. E al termine della manifestazione mondiale, essendo la città priva di un movimento calcistico di primo livello, l'impianto verrà accatastato tra le cattedrali nel deserto. Un elefante branco che, però, è costato quanto una finanziaria, spese di manutenzione escluse.

MORTI NEI CANTIERI -  Sono nove, ad oggi, le morti bianche di questo Mondiale. L'ultimo incidente fatale è avvenuto a maggio nell'Arena Pantanal, a Cuiaba, dove il 32enne Muhammad Ali Maciel Afonso è rimasto folgorato da una scarica elettrica. Un mese prima, ad aprile, Fabio Hamilton da Cruz, 23 anni, cade da un'impalcatura di quindici metri installata nell’Arena Corinthians. Lo stesso luogo in cui hanno perso la vita, travolti da una gru, Fabio Luis Pereira e Ronaldo Oliveira dos Santos, rispettivamente di 42 e 44 anni. A febbraio, nel cantiere dell'Arena Amazonia, Antonio José Pita Martins, 55 anni, viene investito da un pezzo di smontaggio. Sempre nello stadio di Manaus sono morti altri tre operai: il 14 dicembre, Marcleudo de Melo Ferreira, 22 anni, precipita da un'altezza di circa 35 metri, mentre Josè Antonio Silva Nascimento, 49 anni, viene colto da infarto. E ancora, il 28 marzo, il 49enne Raimundo Nonato Lima da Costa riporta un trauma cranico letale in seguito ad una caduta. Il primo - e il più giovane - operaio ad aprire questa tragica lista è stato José Alfonso de Oliveira Rodriguez: cade da 30 metri di altezza nella struttura dell'Estádio Nacional Mané Garrincha. Numeri da bollettino di guerra. Agli organizzatori si contesta di ignorare le regole sulla sicurezza, anche le più basilari, pur di rispettare le scadenze. Ma è sotto gli occhi di tutti che questo evento si è macchiato di un'onta di sangue che nessun sombrero o goleada potrà cancellare.

SGOMBERI E SOPRUSI - Più di 250.000 persone sono state espropriate delle proprie abitazioni in funzione delle opere progettate per il megaevento. Alla fine, secondo le previsioni, saranno circa 300.000 gli homeless. Il motivo degli sfratti forzati, avvenuti senza rispettare le leggi e tantomeno dialogando con le comunità, è duplice: i residenti intralciavano i lavori e avevano costruito immense favelas, quegli agglomerati di baracche dove l'igiene latita e il degrado sociale domina incontrastato. Per i promotori e le autorità, le favelas contribuiscono a deturpare l’immagine della manifestazione sportiva, e pertanto vanno rase al suolo. Le pagine delle cronache locali riportano gli effetti delle operazioni di sgombero. A Rio de Janeiro in 5 mila avevano occupato alcuni edifici abbondanti di una società di telecomunicazioni. Sono intervenuti 1.500 poliziotti muniti di bulldozer, ed è nato così uno scontro frontale tra forze dell'ordine e occupanti. Nella capitale verdeoro, a marzo, la polizia ha liberato con la forza l'ex Museu do índio, situato a pochi passi dal Maracanã, da decine di indigeni insediatisi lì dal 2006.

STOP AL MONDIALE - In questi mesi le grandi metropoli come San Paolo, Belo Horizonte, Brasilia, Manaus, Porto Alegre, Rio de Janeiro, e tante altre città, si sono trasformate in teatri di scontri e proteste di piazza. I manifestanti hanno esposto striscioni contro la Fifa e, principalmente, all'indirizzo del governo. A San Paolo, alcuni di loro hanno sfilato con le foto dei nove operai morti nei cantieri degli stadi, solidarizzando anche con le rivendicazioni di altre categorie: dagli insegnanti agli autisti del trasporto pubblico, dai metalmeccanici al movimento lavoratori senzatetto. Il popolo brasiliano chiede a gran voce, piuttosto che stadi e strutture sportive, più sviluppo sociale. Il 10% della popolazione è analfabeta e mancano gli edifici scolastici. Le strutture ospedaliere non bastano e l’impossibilità economica per molti di potersi permettere cure mediche diventa sempre più seria. I dati parlano di 13 milioni di persone che patiscono la fame. Circa 11 milioni vivono nelle favelas. Per tacere dei servizi, costosi e scadenti. Oltre al lavoro, che scarseggia o non è sufficientemente retribuito. Il Brasile è sospeso su una polveriera, e ci sono tutti gli ingredienti per lo scoppio di una vera e propria rivolta sociale. Questo evento - per la maggioranza del popolo - non s'ha da fare. Né tra un mese, né tra un anno. Né mai.

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