Vavel in Libreria - L'ultima estate di Berlino
Vavel in Libreria - L'ultima estate di Berlino

Lo sport dovrebbe essere simbolo di pace, fratellanza tra i popoli, sconfiggere ogni forma di divisione, abbattere le barriere. Eppure in passato è stato usato come propaganda di guerra. L'esempio più fulgido di tutto questo, lo abbiamo avuto alle Olimpiadi di Berlino del 1936. In questa edizione dei giochi a cinque cerchi lo sport è stato solo un pretesto per mostrare al mondo la potenza e la forza della Germania nazista. In pochi pensavano che solo 3 anni dopo avrebbe avuto inizio la tragedia ancor più terribile della Seconda Guerra Mondiale. Adolf Hitler inizialmente era stato contrario ad organizzare l'evento olimpico. Avrebbero contribuito a fargli cambiare idea le insistenze del ministro della propaganda Goebbels.

Nel libro "L'ultima estate di Berlino", scritto da Federico Buffa e Paolo Frusca, esordio con la narrativa dello stesso Buffa, quell'edizione dei giochi olimpici racchiude tante altre storie. Questo lavoro è nato dopo aver portato in teatro lo spettacolo "Le Olimpiadi del 1936". Il libro riesce ad andare oltre qualsiasi archivio e filmato perchè coglie: impressioni, sensazioni, emozioni stati d'animo non soffocabili dalla fredda ragione. L'organizzazione dell'evento è sembrata quasi perfetta dalla cerimonia d'apertura fino a quella di chiusura. Leni Riefenstahl ha cercato di sfruttare nel migliore dei modi l'invenzione della televisione, anticipando la portata mediatica delle Olimpiadi che verrà successivamente. Eppure tutto ciò non è bastato a cancellare quello che non andava, molto di più di semplici smagliature. Lontano dalle telecamere la sede destinata alle partite del torneo di basket è sembrata indegna di un evento olimpico. Le emozioni più autentiche come la gioia per la vittoria e il dispiacere per la sconfitta sono state vissute solamente all'interno del villaggio che ospitava gli atleti. Il fair play c'è stato sui campi di gara. Molti funzionari del partito, membri della Gioventù Hitleriana non hanno fatto nulla per nascondere il disprezzo verso gli atleti da loro definiti non di razza ariana. Alcuni partecipanti fanno notare apertamente la loro ostilità verso i regimi politici dei loro paesi di appartenenza. Nel libro grazie alle Olimpiadi si incontrano due binari che altrimenti sarebbero rimasti solamente paralleli e distinti. Il primo è quello del capitano Wolgang Furstner, destituito dal suo ruolo di comandante del villaggio olimpico, pochi giorni prima dell'inizio della manifestazione, causa le origini ebraiche del nonno. Da quel momento la vita di questo personaggio (realmente esistito) cambierà in negativo. La sua vicenda è la sintesi perfetta di come le Olimpiadi sono state pura illusione, fumo negli occhi, una sorta di Sabato del Villaggio di leopardiana memoria. Attraverso il suo dramma esistenziale ed umano si può vedere il cambiamento della Germania, diversa da quella per cui aveva combattuto e il progressivo scivolamento verso un baratro chiamato Seconda Guerra Mondiale. Il personaggio inventato di Dale Warren, viceversa rappresenta il cosiddetto Manifest Destiny degli Usa, che sarebbero diventati prima o dopo una grande potenza a livello mondiale. Lo stesso Warren è un giornalista sportivo interessato a raccontare il grande evento ma anche questa Germania, che al contrario della sua  patria sembra lontana dalla depressione economica. Dalle sue parole traspare positività fiducia nel futuro. Tutto questo però pare venire meno verso la fine della cerimonia di chiusura, quando lo stesso Warren è attraversato da un brivido lungo la schiena mentre gli spettatori a gran voce gridano "Sieg Heil". Sicuramente questa espressione marziale gli sarà sembrata più adatta a una guerra che ad un contesto come quello.

Alla conclusione del libro il suicidio del capitano Furstner può definirsi eroico come lo sono stati quelli di: Seneca e Catone Uticense. Non aveva senso vivere in una patria in cui non si riconosceva più e non mostrava alcun rispetto per i suoi veterani di guerra. L'estate olimpica è stata solo una pura illusione che avrebbe poi lasciato spazio alla lunga notte dell'inverno e della guerra. Tutto questo si è verificato allo spegnimento del braciere olimpico e delle luci nello stadio.

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