Valentino Conquistador di Spagna. A Jerez ha fatto razzia: pole, vittoria e giro veloce, col ghigno gaudente (“gusto”, ama dire lui) delle grandi occasioni. Perché Jerez, per Rossi, era il rendez vous con la possibile svolta, di quelle che esulano dalle ragioni del calcolo e che solo lui sa imprimere con tale potenza simbolica. Oppure poteva coincidere con l’addio prematuro ai giochi mondiali. Un crocevia da dentro o fuori, per dimenticare la polvere di Austin e riaccorciare le distanze.

Il messaggio è giunto forte e chiaro: Rossi c’è, immarcescibile e più motivato che mai. Tanto da vincere alla Lorenzo, dominando dalla prima all’ultima curva con una progressione schiacciante, così lontana dallo “stile Valentino” quanto opportuna ad evitare la roulette dell’ultima curva (quella della celebre spallata a Gibernau nel 2005, replicata da Marquez su Lorenzo nel 2013) che l’equilibrio in prova lasciava intuire.  

Ma il vero cambio di passo, rispetto al 2015, Vale lo ha ottenuto al venerdì, più svelto a trovare la quadra della sua M1 e a costruire il ritmo in chiave gara. Il plus che voleva e che può fare la differenza, rafforzando le sue certezze e indebolendo al contempo quelle dei rivali. Lo avevamo detto: il campionato resta innanzitutto una guerra di pazienza e logoramento. Vince chi sopravvive.

E col trionfo di Jerez, Valentino sopravvive. Resta agganciato al treno degli spagnoli e, soprattutto, in scia al compagno di squadra, ripristinando un equilibrio vitale nel box Yamaha per poter ambire, più avanti, ai galloni di “anti-Marquez”. E catalizzare su di sé energie e risorse che il team, nel caso di una volata a tre, dovrà ragionevolmente concedergli, ora che Jorge ha firmato con Ducati.

Sono 24 i punti che lo separano dal battistrada Marquez, quasi una gara di svantaggio. Non sarà facile colmarli dal momento che il Cabroncito 2.0 ha capito l’antifona e si è messo a fare il ragioniere, badando al sodo e senza prendersi rischi inutili, conscio che le attuali Michelin non perdonerebbero gli eccessi del passato.

Quelle Michelin dalla carcassa irrigidita sull’altare della sicurezza che hanno sposato a meraviglia la guida (e il maggior peso) di Rossi, e potrebbero agevolarne il riavvicinamento alla vetta. E che, viceversa, hanno sgonfiato le ambizioni di Lorenzo, stizzito per lo spinning della gomma posteriore sul rettilineo di arrivo. “Altrimenti avrei potuto vincere con margine”, ha detto a fine gara, sconfessato però dalle rilevazioni alla speed trap, dove in velocità media il maiorchino è risultato secondo solo alle Ducati (quinto assoluto dopo Iannone, Dovizioso, Barbera e Redding), e più rapido di Rossi di ben 4 km/h.

Cose strane”, così Jorge ha definito l’anomalia delle Michelin (accusata anche dagli altri piloti), denunciando un principio di “sindrome da accerchiamento”, la paranoia da complotto tipica dei separati in casa, che facilmente rafforzerà la convinzione di favoritismi verso Rossi ogniqualvolta il pesarese dovesse finirgli davanti. O forse, più semplicemente, il comprensibile malumore del top rider battuto dal compagno di squadra a domicilio e perdipiù costretto ad incassare la débacle della Ducati, sua futura squadra, bruscamente ridimensionata al ritorno in Europa.

Il team di Borgo Panigale lascia Jerez con gli annosi dubbi. Iannone disperso nella pancia del gruppo e capace solo del 7° posto finale a 26” dal Dottore, Dovizioso al terzo ritiro di fila per guasto tecnico, Oscar alla scarogna, la potenza della GP16 imbrigliata dall’angusto toboga spagnolo e il film del 2015 che sembra potersi ripetere. Un cruccio in più per Jorge?

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