Si preannunciava una grande partita e grande partita è stata. Del resto gli ingredienti c'erano tutti: i precedenti fra i due, innanzitutto, a partire da quelli più recenti. Partite mai banali, battaglie autentiche fra due gladiatori del Court a Indian Wells come a Wimbledon.
E poi il fattore umano: da una parte il detronizzato Novak Djokovic, che dalla finale amara di Flushing Meadows non si è più fermato e ha inanellato vittorie su vittorie, mettendo in bacheca i tornei di Pechino e Shanghai. Il paese della Grande Muraglia si inchina all'imperatore venuto dalla Serbia, i cui sudditi riempiono ciascuno dei 15mila posti dello splendido Final Stadium.
Contro di lui Juan Martin Del Potro, che sembra stia tornando sui livelli di quel 2009 magico culminato con la vittoria degli Us Open: la lezione di tennis rifilata a Nadal ieri nella semifinale è stata esemplare. Ad accompagnarlo nell'ardua impresa di battere Hannibal Djokovic, uno sparuto gruppetto di tifosi di Tandil, che accompagnano Palito per tutto il match con cori e canti degni della Bombonera, uno spettacolo nello spettacolo che si andava ad assommare a quello offerto in campo dai due giocatori. Che c'è stato, e di altissimo livello.

Fuga Nole, ritorno Del Potro - Il primo set è tutto di marca serba. Un dominio totale in tutte le fase del gioco, con l'argentino chiuso all'angolo e preso a cazzottoni che lo han fatto barcollare e quasi mandato al tappeto: addirittura Nole avrebbe già potuto chiudere il primo round sul 6-0 se l'argentino non fosse riuscito, lottando, a mantenere il servizio e rimandare di un gioco il suono del gong.

Quando i due rientrano in campo per la seconda frazione, il copione non sembra essere cambiato poi di molto: Djokovic è un martello e Del Potro rischia già di dover capitolare ancora prima di iniziare, quando il serbo arriva a un soffio dal break. Da qui però la musica cambia: perchè Palito entra finalmente in partita, mentre il serbo ha un momento di indecisione che gli costa il turno di servizio. Dal baratro alla gara di testa: è tutta un'altra prospettiva quella da cui il numero 5 al mondo vede lo sviluppo di questa finale. Il momento decisivo di questo secondo set è il settimo game: Nole ha tre palle per il contro-break e per impattare sul 4 pari, ma Del Potro, complice anche una serie di servizi piega-polso, infila cinque punti di fila e si porta sul 5-3. Ormai appare chiaro a tutti che il Masters 1000 di Shanghai si deciderà al terzo set, e il 6-3 con cui Del Potro timbra il parziale ne è la certificazione ufficiale.

Battaglia - Il terzo set è un concentrato di emozioni. I due si danno battaglia senza esclusioni di colpi, scagliandosi lavatrici e poi tutto il mobilio di casa in un crescendo di scambi durissimi, spesso oltre i venti colpi. Il pubblico capisce il momento e si scalda: gli argentini. complice anche qualche birretta per accompagnare la tensione del match, fanno un baccano dell'inferno; Nole, dal canto suo, chiama a raccolta i suoi sudditi, come un Gattuso sotto la Curva Sud di San Siro, gasando i cinesi che per lui stravedono. L'epilogo del tie-break è quello più logico, e forse più giusto: come la lotteria dei calci di rigore, dove un errore - anche minimo - può significare addio sogni di gloria. E' qui che le proiezioni offensive del serbo fan la differenza: 7-3 il punteggio con cui Djoker si porta a casa tie-break, set e torneo. 

Onore - Si conferma in splendida forma quindi l'ex numero uno al mondo, che da qui a fine stagione vorrà comunque capitalizzare al meglio il suo stato di forma straripante. Dall'altra parte il circuito ritrova un Del Potro che, dopo aver vinto una settimana fa a Tokyo, combatte con onore e cede solo all'ultimo al giocatore in questo momento più in forma. Lo fa con grande onore, lasciandosi andare un pianto da bambino, con la testa sotto l'asciugamano per non farsi vedere dalle telecamere. A Londra però, nelle finals, i Mostri del Court dovranno fare anche i conti con Palito.