Alla fine il Masters lo ha vinto il più forte, lasciando ai rivali solo qualche premio di consolazione. Il prestigio di un torneo si misura facilmente con la semplice lettura del libro d’oro e quello del Masters contiene sei volte il nome di Roger Federer, cinque volte quelli di Pete Sampras e di Ivan Lendl, quattro volte quello di Ilie Nastase, tre volte quelli di Boris Becker e di John McEnroe e solo due volte, per ragioni politiche e di calendario, quello di Bjorn Borg. Completano l’elenco dei vincitori campioni come Andre Agassi e Stefan Edberg.

Insomma c’è tutta la Hit Parade del tennis contemporaneo, per cui si può affermare con sicurezza che questo torneo lo hanno vinto e lo possono vincere solo fuoriclasse con quattro quarti di nobiltà tennistica. Una categoria alla quale appartiene certamente anche Novak Dojokovic, che ieri ha battuto nettamente Rafael  Nadal, che aveva appena ricevuto il riconoscimento per aver chiuso la stagione al primo posto nella classifica del computer.

La finale non è stata all’altezza della qualità dei protagonisti. Djokovic ha controllato il gioco ed il risultato senza dover ricorrere ai numeri migliori del suo repertorio. In altre parole tutti e due potevano giocare meglio.  Ricordando che poche finali del Masters sono state partite memorabili, si può arrivare ad una conclusione abbastanza ovvia e cioè che la stagione del tennis sia probabilmente troppo lunga, tuttavia alla fine bisogna riconoscere che complessivamente il Masters ha sempre detto la verità ed in fondo è quello che si pretende da una competizione sportiva.

In questo senso il Masters si fa perdonare l’anomalia di essere l’unica competizione tennistica che un giocatore può vincere pur perdendo una partita. Un difetto che in questa occasione è stato nascosto dalla superiorità e dalla completezza tecnica del vincitore, probabilmente quello che, tra i migliori, non ha bisogno di essere aiutato dalla superficie come il suo record autorevolmente conferma.

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