Sono tante le caratteristiche che distinguono un campione da un buon giocatore. Una però tende a griffare i purosangue, i fuoriclasse che si staccano dal lotto dei grandi per assurgere alla dimensione dei grandissimi. Serena Williams e Roger Federer, il fine settimana tennistico porta nuovamente alla ribalta i maggiori interpreti del recente periodo d'oro della racchetta. Federer festeggia a Basilea, ben oltre i 30 anni, Serena si prende la sfida di fine anno tra le migliori otto giocatrici del circuito. L'americana distrugge in finale Simona Halep, capace di umiliare la Williams nel primo confronto a Singapore. Sì, perché anche Serena, quest'anno talvolta bloccata da malori e infortuni, dimostra di essere umana nell'arco di una stagione lunga e estenuante. Al dunque però vince, anzi stravince, perché è numero uno in tutto, nella testa ancor prima che nel braccio. 

Celebrare Federer è tono fin troppo diffuso. Difficile sfogliare il vocabolario della gloria per cercare nuovi aggettivi da attribuire al signore di Basilea. Mentre Nadal zoppica, Djokovic si gode la paternità e Murray è altrove impegnato, Federer si prende la scena in Svizzera per l'ennesima volta. Esulta tra raccattapalle in festa e sogna il n.1. Tornare in vetta alla classifica, cancellare ancora una volta l'etichetta di pensionato di lusso. Stupisce la tremenda continuità, stupisce l'energia fisica e mentale che ancora oggi può produrre. La divina eleganza accompagna da sempre il braccio, il corpo, di Roger. Il portamento è senza eguali, come l'arsenale offensivo, la fame, quella sì, lascia interdetti. Vincere tutto, eppur non averne mai abbastanza. L'ultima sfida a Djokovic, per il trono, è qualcosa di impareggiabile e Federer lo sa. Un numero può fare la differenza. Si passa da Parigi, al via oggi il tabellone principale, poi da Londra, in quella magnifica cornice che accoglie solo i più forti. 

Londra, terra agognata anche da Andy Murray. Valencia sancisce l'approdo di Murray al Masters. Non per la matematica ancora, ma la classifica da ampie certezze al britannico, rinato in terra spagnola. La finale è uno psicodramma da cui esce sconfitto il solito Robredo. Spreca un'infinità di match point, come a Shenzhen, e vede ancora Murray a braccia alzate. Il cammino di Andy, perfetto con Ferrer, un set concesso in quarti a Anderson, racconta di un tabellone non agevole, ma la finale è qualcosa di più. Diventa corrida l'ultimo atto, i crampi si prendono il proscenio e la battaglia di tennis si trasforma in guerra psicologica. Vince Murray, più saldo di Robredo, vince Murray con due tie-break che portano la scritta Londra, ma prima c'è Parigi, terra promessa, terra di stelle. 

Murray, Djokovic, Federer, non Nadal. La Francia si gode un album di figurine senza eguali, mentre Serena si riposa. Lei ha vinto, ancora. Ora tocca agli altri. Numeri uno.