Quando Richard Gasquet vede svanire la magia del primo parziale, preda del vecchio Gasquet, il talento maledetto, croce e delizia, sa già in cuor suo che la partita è lontana, ormai di bandiera serba. Gasquet recupera un break, sente il battito di mani che accompagna il parziale. Il pubblico, memore dei quarti con Wawrinka, "gode" di quel rovescio meraviglioso e Djokovic, non il miglior Djokovic, deraglia spesso, da fondo. Si arriva al tie-break, ma l'incanto si interrompe, lo specchio va in frantumi. Djokovic torna di gomma e da numero uno bissa con il primo gioco del secondo set. 76 10. 

Gasquet è alle corde, ogni turno di servizio diventa un calvario, perché nel frattempo Djokovic sale a un livello degno del personaggio e della semifinale. Il serbo non trema e nelle poche occasioni in cui si trova ad inseguire ha la prima di servizio a cui aggrapparsi. Tra i due resta un unico break di differenza, perché improvvise visioni del prodigio di Francia rendono il pomeriggio gradevole. Si prosegue nell'ordine dei servizi, fino al 64 Djokovic. 

La montagna da scalare è enorme, aumenta di proporzioni col passare dei minuti. Gasquet vince il gioco d'apertura del terzo parziale, ma da tempo è ormai costretto alla rincorsa, sballottato, soprattutto in risposta, ai due lati del campo. Il break, puntuale, arriva nel corso del terzo gioco. Djokovic mette la firma e scappa. Gasquet ha coraggio, gioca complessivamente un buon match, ma Nole è troppo bravo. Qualche massaggio alle spalle al cambio di campo, piccole noie per Djoko, proiettato verso la finale. Chiude al terzo tentativo, per il secondo 64. Tre set a zero, senza mostrare l'abito migliore, senza spendere più del dovuto.

Djokovic - Gasquet 76 64 64