Ormai i successi di Novak Djokovic non fanno quasi più notizia, tanto sono ripetuti e ravvicinati nel tempo. Ecco perchè, nella conferenza successiva alla finale degli Australian Open edizione 2016, un cronista ha chiesto al numero uno al mondo se l'ennesimo titolo Slam - l'undicesimo - avesse un sapore particolare. Lui, Nole, inizialmente ha risposto con qualche espressione di circostanza (come "è sempre importante vincere un Major, ogni vittoria ha un suo significato" ecc.), salvo poi ammettere che aver raggiunto leggende della racchetta quali Roy Emerson (per titoli vinti in Australia), Bjorn Borg e Rod Laver (per trofei dello Slam) lo aveva reso "onorato" di essere entrato a far parte di una simile élite.

Ora, non si tratta più di celebrare le vittorie in serie di un campione consacratosi definitivamente al rango di fuoriclasse, bensì di individuare le tappe di questo passaggio di status. Era il 2010 quando il serbo esprimeva a microfoni e taccuini la sua frustrazione per "essere nato nell'epoca tennistica sbagliata", quella dominata dal duo Federer-Nadal, che sembrava non potergli riservare lo spazio che l'attuale numero uno al mondo pensava di meritare. Al di là dei cambiamenti atletici e tecnici avvenuti in questi anni - ce ne sono stati di rilevanti, dalla nuova dieta al lavoro su alcuni colpi come il servizio e il diritto - è sparito gradualmente dall'atteggiamento di Djokovic quel senso di inadeguatezza agli eventi che invece caratterizza ancora Andy Murray, spesso preda di monologhi e soliloqui nei momenti più bui delle grande partite. Anche Djokovic in passato finiva per contorcersi e lacerarsi da solo, incapace di accettare l'idea che ci fosse qualcuno in grado di surclassarlo ripetutamente. Lamenti, imprecazioni, scambio di parole con il proprio angolo, tutto faceva parte del bagaglio che Nole si portava con sè sul campo, con tanto di decocentrazione ed energie mal spese che ne comportava. 

Il Djokovic del 2016 è invece consapevole di sè, dei suoi mezzi e dei suoi obiettivi. E' centrato solo sul suo tennis, senza distrazioni nè momenti di pausa. Una focalizzazione continua sul gioco che è emersa di pari passo con le vittorie, ma che più probabilmente è stata la causa delle stesse. Ecco perchè il padrone del tennis mondiale è spesso vincente in partenza contro avversari del suo stesso livello tecnico: i rivali sanno che non avrà pause, non si concederà più alla rabbia, allo sconforto, non spaccherà racchette nè urlerà al cielo contro un destino ritenuto cinico e baro. D'altronde non si spiegherebbe altrimenti la calma - al limite dell'atarassia - con cui il serbo controlla le sfide contro Roger Federer, in cui il pubblico è tutto dalla parte dello svizzero, a volte anche oltre il limite della sportività (persino a Melbourne, non solo a New York, si è sentita la folla esultare per una prima di servizio non entrata in alcuni game in cui il serbo era alla battuta). Nole è riuscito ad accettare anche il fatto che il mondo del tifo tennistico rimanga diviso tra gli ammiratori di Federer, che non smettono di non abbeverarsi alla fonte del gioco dello svizzero, e i fan di Nadal, in attesa speranzosa di un ritorno del loro beniamino ai fasti di un tempo. "Ho anch'io i miei tifosi - ha dichiarato Djokovic durante gli Australian Open - ma la gente ha il diritto di scegliere per chi tifare", la chiosa alla sproporzione di supporto tra i big. 

Quante volte si era invece visto il serbo alzare le braccia al cielo in segno di sconforto verso i boati del pubblico pro Federer o Nadal? Basti ricordare l'epica semifinale del 2011 a Flushing Meadows, quando Novak salvò un match point contro Roger per poi vincere in volata al quinto set. Anche quel Djokovic, all'alba della sua epopea da numero uno del mondo, aveva sulle spalle il peso della soggezione di fronte ad avversari visti più come totem che come semplici rivali. Qualche anno dopo la situazione si è capovolta: è lui, Nole, ad entrare in campo con certezze granitiche, che al momento nessuno può scalfire, perchè la solidità di cui tanto si parla rimane psicologica, oltre che tecnica. Il nuovo Djokovic ha la forza dei nervi distesi, al punto che non è bastato neanche lo choc della finale persa al Roland Garros 2015 per fermarne l'inesorabile cavalcata.