“La Grandezza non può essere fermata”, parole di un allenatore, ormai passato, di un amico tuttora presente. Parole di Paul Annacone. Lui che ha visto Federer, l'ha consigliato e seguito. Quasi accompagnato, come un fratello maggiore. Nei giorni dei dubbi, della ricerca disperata dell'ennesima impresa, Roger lascia la guida dell'ultimo triennio e si chiude in un monologo interiore alla ricerca del giusto mix per tornare grande. Un nuovo coach, un nuovo attrezzo? Forse niente di tutto ciò. Il miglior Federer è apparso nell'arco della sua carriera infinita senza un personaggio forte che gli indicasse gli anfratti del mondo della racchetta. I colpi, le tattiche, il modus operandi. Quello a poco serve, se la dea bendata ti ha messo addosso l'abito del tennista perfetto. Meglio qualcuno, pacato, a cui confidare incertezze e preoccupazioni. Non per niente Roche è stato per un periodo piuttosto lungo al fianco del campione di Basilea. Tanti i nomi sul tavolo ora. Dagli esperti Cahill e Gilbert, capaci di domare personalità irrequiete come Agassi e tennisti incompleti come Roddick, fino all'estrema ratio rappresentata da Edberg, sublime interprete del rettangolo di gioco, ma ancora acerbo come voce tecnica.

Girandola di voci, in attesa che sia Federer a parlare. In attesa che riprendano le prove con la nuova racchetta che dovrebbe accompagnare lo svizzero. Più ampia, al passo coi tempi. Un oggetto che permetta di ritrovare la potenza persa lungo la via dei trentanni. Forse non in questo scorcio di 2013, in cui resta da conquistare la qualificazione al Masters. Nella Race Federer é ottavo, davanti a Tsonga e Gasquet di poche centinaia di punti. L'eliminazione a Shanghai con Monfils ha complicato i piani di Roger, scalzato dal paggio Wawrinka, che quasi inconsapevolmente ha spostato l'ombra del maestro e si è ritrovato al top del tennis elvetico. A Londra non vuol mancare l'ex numero uno. Lì ogni anno si ritrova il meglio del panorama tennistico. Il non plus ultra della racchetta. Non può mancare chi per più di un decennio ha illuminato arene, campi e platee e ha vinto il Masters 6 volte.

Roger capisce la difficoltà di restare in alto. Consapevole dello scorrere inesorabile del tempo, ripensa al magico Wimbledon 2012, all'idea di continuare oltre quella gemma. Troppo forte il piacere di scendere in campo. Insostenibile il richiamo di quella pallina gialla, ora magica solo a tratti. Quello è il limite oltre il quale sta la gloria. Rendere quella luce intermittente, perpetua.

Le parole di Annacone suonano così da monito per gli avversari rampanti. “Ogni volta che cominciate a dubitare di persone come Roger dovete tapparvi la bocca prima di parlare. Si tratta di persone atipiche, veri e propri fenomeni. Fin quando Roger amerà giocare a tennis, fin quando si allenerà con così tanta esuberanza, finché si divertirà durante le sue partite, non vedo futuro per lui che non sia di successi. Per me non si tratta di capire se riuscirà, ma quando.” La realtà parla di un Federer che procede a strappi. Le pause nell'arco non solo di un torneo, ma nello stesso match, tendono a dilatarsi a dismisura. La testardaggine prende campo nella testa del campione, che prova a stroncare limiti, a cui non era abituato, con forza e violenza. Lasciando da parte la tranquillità e l'imprevedibilità che hanno resa impareggiabile il suo cammino. Il masso dell'ultimo successo, il muro che separa la mesta discesa prima dell'addio dall'ultimo squillo di tromba, ecco il duello più difficile. La strada impervia, lastricata di avversari e demoni. Essere il più grande un'ultima volta. Essere ancora Roger Federer.