Chiunque abbia dato un'occhiata alle prime gare delle Atp Finals 2015 non potrà non aver notato come il tappeto indoor della O2 Arena di Londra, dov'è in corso di svolgimento il Masters di fine anno, sia molto più lento dei tradizionali campi al coperto. Rimbalzi alti, palle che arrivano ben al di sopra dell'altezza dell'anche, una velocità media inferiore anche a quella dei campi in cemento outdoor, tutte caratteristiche che un tempo sarebbero state impossibili da riscontrare sui vari palcoscenici delle finali maschili (basti ricordare a questo proposito le edizioni di Shanghai e quella di Houston nel lontano 2003).

Gli appassionati di tennis più attenti - e soprattutto meno giovani - ricorderanno come negli anni '90 la superficie indoor utilizzata dall'Atp per il finale di stagione fosse addirittura più veloce dell'erba, con rimbalzi tuttavia molto più regolari rispetto ai prati verdi. Edizioni del Masters con protagonisti campioni del calibro di Pete Sampras e Boris Becker vedevano i migliori tennisti del mondo sfidarsi a colpi di serve and volley, arte ormai dimenticata e non più praticata sostanzialmente da nessuno dei giocatori contemporanei (pochissime le eccezioni ai vertici, tra cui Feliciano Lopez, spagnolo atipico, che tuttavia non sempre segue a rete la prima di servizio). Lo stesso Roger Federer, che negli ultimi tempi ha aumentato le sue discese verso il gioco di volo, ha dovuto negli anni modificare il suo gioco, persino sull'erba prediletta di Wimbledon. L'epifania dello svizzero - quantomeno al grande pubblico - si deve a un match leggendario disputato nel 2001 proprio ai Championships contro Sampras, una sorta di passaggio del testimone tra vecchio e nuovo dominatore del tennis, in una partita in cui entrambi i contendenti giocavano serve and volley sia sulla prima che sulla seconda. Anche il Federer che vinse il primo Wimbledon (2003, finale su Philippoussis) non disdegnava di seguire a rete il servizio contro un avversario che aveva propria nella battuta e nella volèe la principale - forse l'unica - arma a sua disposizione.

I vertici Atp hanno poi negli anni spiegato che il rallentamento delle superfici avvenuto nelle stagioni seguenti è stato giustificato dall'intento di limitare i vantaggi che campi troppo veloci avrebbero fornito ai grandi battitori, rendendo alcune partite mere battaglie di servizi. Si è però tuttavia oggi giunti al problema inverso, con una nuova generazione di giocatori cresciuta abituata alle maratone da fondo, abbandonando alcuni colpi classici del tennis old style, come le volèe (i vari Djokovic, Nadal e Murray vengono a rete solo per chiudere il punto) e il rovescio a una mano, ormai sempre più raro da trovare nel bagaglio tecnico dei migliori giocatori al mondo. D'altronde, colpire la palla che rimbalza molto alta con il rovescio a una mano risulta molto più complicato e meno efficace rispetto a chi utilizza l'omologo colpo bimane, certamente più facile da maneggiare e spesso meno spettacolare del tradizionale sventaglio a un braccio (fanno eccezione solo Federer, Wawrinka e Gasquet tra i top ten, con il fuoriclasse di Basilea che tuttavia appartiene a un'altra generazione, a metà del guado tra vecchio e nuovo tennis). Si spiega così anche perchè un ristretto numero di giocatori sia stato in grado di dominare la scena mondiale su qualsiasi superficie e in ogni periodo dell'anno: in un circuito in cui non ci sono grosse differenze tra i campi in cemento e quelli indoor, in cui l'erba è sempre più lenta (erba battuta, la geniale definizione di Gianni Clerici), i Fab Four non accusano praticamente mai il passaggio da una fase all'altra della stagione, potendo esprimere il loro gioco in maniera sostanzialmente immutata (alzi la mano chi vede differenze abissali tra una partita disputata a Indian Wells e un'altra giocata a Parigi-Bercy, tanto per fare un esempio di un torneo che ha rallentato di molto il proprio tappeto indoor).

Si è così chiusa l'era degli specialisti, di quelli dell'erba e di quelli della terra rossa, passando per i grandi battitori e gli arrotini da fondo campo. Solo quindici anni fa (un'era geologica nella prospettiva attuale) un vincitore di Roland Garros come Sergi Bruguera non si azzardava nemmeno a pensare di poter essere competitivo a Wimbledon, così come il padrone delle chiavi dell'All England Club Pete Sampras non è mai riuscito ad andare oltre una semifinale sul rosso di Parigi. Oggi un Pat Rafter non avrebbe alcuna chance di vincere due US Open consecutivi, un Tim Henman non raggiungerebbe quattro semi a Wimbledon, e probabilmente anche il servizio di Goran Ivanisevic non sarebbe così devastante. Lo stesso Andre Agassi farebbe fatica con rimbalzi molto alti, lui che ha sempre basato il proprio gioco sull'anticipo esasperato e sull'attacco da fondo. Non si tratta di voler sminuire il valore dei vari Djokovic, Nadal e Murray (Federer rappresenta un tipo di giocatore diverso, per caratteristiche personali e scuola di appartenenza), ma di notare come siano sparite le peculiarità delle singole superfici, e con esse gli specialisti di campi lenti o veloci, quelli che potevano eliminare il numero uno del mondo su un prato o un'arena rossa creando la grande sorpresa e rendendo, in definitiva, il tennis maschile più avvincente e imprevedibile.