La partecipazione olimpica è appesa a un filo sottile. Il Tribunale nazionale antidoping si dichiara non competente, persiste quindi la sospensione decisa dalla Iaaf, dopo la positività del marciatore azzurro alle controanalisi. Alex Schwazer lotta contro la giustizia, ma soprattutto contro il tempo. La definizione del gruppo italiano per Rio è alle porte e l'atleta chiede quindi celerità nel dirimere la questione. L'ultima fermata è al Tas, ma il tribunale arbitrale dello sport può garantire una risposta entro i termini necessari per mantenere vivo il sogno a cinque cerchi? Probabilmente no. 

Nella confernza odierna, a Vipiteno, Alex ribadisce la sua innocenza e prova a scovare le cause della positività di inizio anno, la presenza di steroidi anabolizzanti nel suo corpo i primi giorni di gennaio. Prende corpo l'ipotesi manipolazione, Schwazer attacca la condotta della Iaaf e pone interrogativi al momento senza risposta. Non basta a Schwazer un giudizio positivo sul suo ricorso, il marciatore vuole che tale giudizio giunga, come detto, con effetto immediato. 

"Non ho tanto da dire. Continuo ad allenarmi in questi giorni perché per vincere le Olimpiadi non ho bisogno di doping né di una giornata di grazia, ma di una semplice giornata di allenamento. Ma forse per qualcuno chiedo troppo. Io non mi sono dopato, quindi questa sostanza o qualcuno me l'ha somministrata nei giorni prima oppure la provetta è stata manipolata. Siamo ancora qui a qualche giorno dalla scadenza del termine per iscriversi ai Giochi. Siamo come una pallina passata da una mano all'altra senza nemmeno poter dire la nostre ragioni. Sono 4 anni che mi preparo per Rio. Se tra un anno mi danno ragione non mi frega niente, voglio giustizia subito perché merito di andare alle Olimpiadi".

"I colleghi? Non mi ha chiamato nessuno. Più controlli di quanto ho fatto negli ultimi mesi non posso farne. Ma non posso garantire che questa cosa non succeda a qualcun altro, a me o a qualcun altro. Volevamo anticipare il test ma il laboratorio ha detto: chiedete alla Iaaf. avete capito? Da marzo non ho più avuto un controllo iaaf sulle urine, perché loro volevano tornare solo sul test di gennaio. Perché non ho più avuto un test sulle urine?".

Ancor più forte è il pensiero di Sandro Donati. Nelle parole del tecnico non c'è spazio per il dubbio, Donati crede ciecamente nella buona fede di Schwazer e apre scenari inquietanti sull'atletica mondiale. Lui, paladino della lotta al doping, invischiato in un caso di doping. Troppo per non esplodere. Donati accenna a un possibile ricatto, chiama in causa l'Antimafia, riporta le prestazioni in allenamento di Schwazer, anche in un periodo non semplice come questo. La volontà di eliminare un personaggio scomodo, mani oscure ad alterare test e analisi. Donati lancia l'offensiva, scuote il mondo dell'atletica, dello sport. 

"Prima del campionato del mondo di Roma la Iaaf ha intrapreso un'azione serrata sulla federazione per avere tutta una serie di specifiche sul test che Alex aveva fatto il 13 marzo, senza nemmeno cronometristi. La federazione ha potuto spiegare che non fosse una gara, visto che non c'erano concorrenti, comunicati di una manifestazione ufficiale. Ma c'era la volontà di spazzare via questo atleta. Questo ragionamento lo indirizzo a tutte le istituzioni sportive. Non sono il tipo che parla a vanvera. Tra fine aprile e inizio maggio ho ricevuto una serie di mail da una certa Maria Zamora. Le ho fatte leggere ai carabinieri e al responsabile dell'area Europa della Wada e mi hanno detto: sembra un ricatto. Veniva detto che ero in contatto che un russo noto, di cui non ripeto il nome, era in contatto con me, ma io non ho mai avuto a che fare con i russi. Venivano richiesti 3mila euro, che è una cifra ridicola. Non era chiaramente quello il punto, allora ho capito che dietro c'era altro, che significava altre cose. Dai primi allenamenti con Schwazer ho detto: questo è un super asso, sarà facile farlo emergere, non gli serve il doping. A La Coruna abbiamo scelto che arrivasse secondo per le pressioni ricevute. Sennò si vinceva pure lì. Nel finale l'ho frenato, avevo una paura fottuta che gli alzassero i cartellini rossi. Ieri mattina abbiamo fatto un allenamento di 3 ore. E la velocità che lui teneva con facilità assoluta la tengono in gara 2-3 atleti. Lui la teneva in allenamento. Così forse capite quali business stronca la sua eventuale presenza a Rio".

"A una mia atleta misero della caffeina nel test e poi il campione B era pulito. Pensavo che lo sport non avrebbe più fatto una miserevole azione del genere ma sbagliavo. Paura? Io la vedo nelle persone amiche che mi stanno vicino. Io non la butto sulla paura. Scorta? Spero di non avere questa necessità, volevo solo tornare a fare l'allenatore. L'Antimafia? Ho ricevuto questa convocazione e giovedì mattina vado lì. E mi ha chiamato anche un'altra procura. La dose di testosterone è minima. Non è la "bomba" del doping. Corrisponde all'uso di microdosi per recuperare. Mettiamo che l'abbia presa per recuperare: e questa corrisponde a un modello. Mettiamo che prenda 20 giorni al mese, e 10 no, queste microdosi. Vuol dire che se fai un test hai 2 probabilità su 3 di trovarlo. Ma dopo 11 controlli la probabilità di non essere trovati è una su 12mila. Praticamente non esiste possibilità di non essere beccato".

Fonte dichiarazioni Repubblica.it