In una scena del quarto capitolo della saga di Rocky, il pugile di Philadelphia guarda con il vecchio rivale Apollo Creed le immagini del loro secondo match, e nel tentativo di desisterlo dall'affrontare Ivan Drago, gli dice: "Quei due non siamo più noi".
Il pugile salito ieri sera sul ring di Dusseldorf davanti a oltre 55mila spettatori per affrontare un comunque modesto Tyson Fury non era il vero Wladimir Klitschko. Era un vecchio atleta che ha mostrato tutto il peso dei suoi 40 anni, cedendo agli occhi della tigre di un avversario più giovane e affamato che ha sentito l'odore del sangue e, pur senza strafare, ha avuto gioco facile contro il campione in declino. Un campione che raramente, in carriera, ha vinto match in cui ha sofferto.

Sin dalle prime battute, si è visto un Klitschko spento e lento, in difficoltà dinanzi alla mole dell'avversario che, a differenza di tanti, troppi precedenti rivali, ha subito dimostrato di non aver paura del curriculum dell'ucraino. Fury lo aveva detto: la sua mole e la sua (relativa) velocità sarebbero state un ostacolo per l'ucraino. Costretto a una boxe non sua, Klitschko si è snaturato, e in un match in cui sono stati portati pochi colpi, si è ritrovato a inseguire sui cartellini dei giudici. L'orgoglio e le ultime 2 riprese disputate alla garibaldina, un punto di penalità inflitto a Fury, non sono bastati per ribaltare il triplice parere dei giudici, come ben chiaro all'angolo di K dopo l'ultima campanella.

Vittoria unanime per Fury, 115-112 per due giudici, 116-111 per il terzo. Nulla da ridire, verdetto giusto e incontestabile. Fury alla vigilia aveva fatto l'esempio di tanti underdog capaci di vincere il titolo, dimenticandosi dell'esempio forse più calzante (valori individuali a parte): il giovane Mike Tyson che detronizza il vecchio Larry Holmes, che a sua volta aveva scritto la parola fine (l'indegno match con Berbick non conta) alla carriera del The Greatest.

Klitschko viene sconfitto per sfinimento. Non perde il titolo per un colpo della vita o per non essersi preparato a dovere (come Lewis contro McCall e Rahman): viene detronizzato perché, come aveva evidenziato contro Jennings, è ormai logoro e, probabilmente, privo di stimoli. In più, come aveva fatto notare Lewis alla vigilia, la scomparsa di Emmanuel Steward lo ha privato della guida al suo angolo, dove invece Fury si è giovato della furbizia dello zio Peter.
Nel corso della sua lunghissima carriera gli è mancato - non per colpa sua - l'avversario con cui dare vita a una saga che potesse avere il richiamo che le sfide dei pesi massimi hanno avuto fino alla fine dell'epoca dei vari Lewis, Tyson e Holyfield. Wladimir e il fratello Vitali, con il ritiro di Lennox Lewis, si sono trovati padroni di una categoria povera di talenti e ancor più di personaggi, costretti a battere uno dietro l'altro avversari di scarso valore e scarsissimo appeal, dominando senza appassionare al di fuori dei confini ucraini e tedeschi.

Tyson Fury è sicuramente abbastanza istrionico da poter catalizzare l'attenzione dei media e fare incetta di sponsor. Le sue performance canore prima e dopo il match, i suoi atteggiamenti guasconi e una sorta di innegabile simpatia, ne fanno un personaggio che sembra uscito dal film "The Snatch" e inevitabilmente lo portano a recitare al centro del palcoscenico un ruolo di primattore nel quale i Klitschko, gente con ben altro background, preparazione accademica e ambizioni, non sono mai stati interessati.

Per contratto, Fury deve concedere la rivincira a Wladimir Klitschko. Ma l'ucraino, che ha ammesso la sconfitta, ha preso tempo. Uscire di scena, dopo la quarta sconfitta (la prima ai punti), lo amareggia. Peggio però sarebbe trascinarsi senza convinzione sul ring, alla ricerca di fama, gloria e denaro che ha già abbondantemente conquistato. La categoria dei Pesi Massimi torna dunque ad avere un padrone britannico, e il futuro sembra ancora di proprietà della Vecchia Albione: non tanto per Fury (Foreman a parte, era dai tempi di Michael Moorer che un campione dei Massimi non aveva una silhouette così poco invidiabile), né per il ritorno del sempre sopravvalutato Haye: tempo un anno, e Fury si batterà con Anthony Joshua, che ha tutto per dar vita a un nuovo, lunghissimo regno.