Il Tour de Froome. Ventuno tappe, volate via. Emozionanti, da brividi, chiuse nell'incantata cornice di Parigi, illuminata come al dì di festa. L'Arc du Triomphe, la Tour Eiffel, la storia della Francia ad avvolgere le due ruote. La centesima edizione della Grand Boucle, la corsa più amata, chiacchierata, discussa. Il fascino, la macchina che ospita Lemond, Indurain, Merckx. I ricordi, Pantani, Coppi, l'Italia. L'oggi. Froome. É il keniano bianco, diventato britannico a domare le strade transalpine. Dalla Corsica a Parigi. Un dominio dello “scricciolo” Chris. Dopo Wiggins ancora Sky. Fa discutere, impressiona Froome. Per ora è il più forte, aldilà di infauste notizie che si spera non arrivino mai. Ha stravinto, in montagna, contro il tempo. Ha spaventato, sul Ventoux soprattutto. Il monte pelato, dove è morto Simpson, dove ha alzato le braccia al cielo Marco il pirata, dove Quintana ha perso sangue dal naso, lì ha accelerato Froome. Un mulinare incredibile di gambe. Seduto ha impresso un'incalcolabile forza ai pedali. Velocità e potenza. Alla mente Lance l'americano. La stessa frequenza di pedalata. Lì ha stroncato Contador e chiuso il Tour. Sull'Alpe d'Huez è tornato umano. Anche un extraterrestre della bicicletta cade vittima della crisi più antica. L'alimentazione errata condanna in bicicletta come in nessun altro sport. Si spegne la lampadina. Fortunato sei se hai un immenso gregario come Richie Porte.

Il Tour de Froome, un giorno il Tour de Quintana. Il colombiano sparito per mesi, per allenarsi in altura, e tornato grande. Quel viso, da sfinge, che nasconde un giovane “vecchio”. Non trasmette emozioni Nairo, ma quando sale la strada, si alza sui pedali. Grande, oltre la carta d'identità. Bloccato dalla leadership di Valverde, poi, libero da obblighi di squadra, leader Movistar, al primo Tour da protagonista. Secondo, grande secondo. Primo nell'ultimo arrivo alpino. Maglia bianca, maglia a pois. Talento del domani, immenso oggi.

Applausi anche a Purito Rodriguez. Terzo. Sul podio francese, dopo Giro e Vuelta. L'inizio difficile, le difficoltà pirenaiche, il distacco nella prima cronometro. Poi la crescita. Protagonista nell'ultima settimana. Lì dove si decide il Tour, è tornato Purito.

É mancato Alberto Contador. Chiude quarto, perdendo il podio sull'ultima ascesa. Ha retto oltre le proprie gambe. Ha retto più col cuore che con la condizione. In difficoltà subito, non ha trovato il colpo di pedale lungo la strada. Ha inventato, da genio delle due ruote, il ventaglio traditore, recuperando minuti e corsa, ha provato nell'infida discesa del Sarenne, poi è crollato. Non è bastato Kreuziger, fido gregario. L'intelligenza, l'immaginazione, si fermano al cospetto della fatica. Un altro sarebbe crollato prima, Contador no. Vederlo in difesa sulla Madeleine, poi nel penultimo atto della corsa in giallo, era segnale chiaro. Mai domo, sempre alla ricerca del pertugio in grado di soverchiare le gerarchie, anche lui ha dovuto accettare la legge della strada. Semplicemente non era Contador. Ha vinto alla Vuelta pur essendo inferiore a Rodriguez, Valverde e Froome, ma questo Tour era un'altra cosa. Era un altro Froome, libero da compiti di gregariato, vedi Giro, e da problemi fisici, che ne hanno bloccato la crescita negli anni passati.

Poca gloria per i colori azzurri. Lo squillo di Trentin, la classe di Moreno Moser. Artista della bici, alla prima esperienza prestigiosa. Due settimane di apprendistato, poi attacchi ripetuti. Il terzo posto nella tappa clou, quella di Riblon, della doppia Alpe d'Huez. La tappa della storia. Ha deluso Damiano Cunego. Mancava Vincenzo Nibali. Che spettacolo pensare all'edizione 2014. Froome contro Nibali e la rabbia di Contador. Il pistolero vuole tornare grande. Sazio, ha trovato altre motivazioni. Servirà un inverno diverso per tornare padrone. Più lavoro, più attitudine, mentale soprattutto. Un triumvirato a caccia della maglia gialla. Il Tour è appena finito e già si sogna. 365 giorni, poco meno. Ecco perché è la corsa più bella. Finita, pensi a quando tornerai qui. Finita, pensi a come poter vincere qui.

I grandi della classifica. Gli uomini della montagna. Gli uomini avvolti dalla folla impazzita, dall'entusiasmo che abbraccia il ciclismo, oltre il doping e i tribunali. La passione. E il ciclismo. Binomio indissolubile. Non solo loro. Come dimenticare i quattro “urrah” di Kittel. Apre e chiude lui, con buona pace di Mark Cavendish.

Merci, Tour.