La notizia della vittoria di Esteban Chaves al Giro di Lombardia ha fatto sussultare un Paese intero. Il ciclista colombiano ha fatto saltare di gioia gli appassionati connazionali e lui, intervistato per la Gazzetta dello Sport, ha fatto capire di essere sorpreso da tanto scalpore: "Non pensavo nemmeno io che il mio successo al Lombardia venisse accolto con tanto entusiasmo in Colombia. È vero, sono stato il primo corridore del mio Paese a vincere una classica monumento. Ma i giornali hanno dato un grandissimo spazio, mi hanno detto che radio e televisioni hanno aperto i notiziari sportivi con l’annuncio della mia vittoria. Mi sto dando ancora, come li chiamate voi... sì, i pizzicotti sulla pelle. Amo il mio Paese. La cattiva fama è immeritata e fa ormai parte del passato. Il problema è che la gente generalizza, magari senza sapere come stanno realmente le cose. Come se l’Italia venisse identificata solo con la mafia. La Colombia non è violenza, droga, narcotraffico. La Colombia è soprattutto gente che lavora, che ha un grande cuore, che trasmette amicizia e felicità, che non smette mai di sognare nonostante le difficoltà, nonostante la povertà. E poi è anche un bellissimo posto".

Un attaccamento, quello di Chaves per la sua Colombia, che si rivela non solo quando vince le gare, ma in tutte le occasioni in cui sale in sella per le gare: "Credo che tutti i campioni colombiani, e non solo i ciclisti, lo siano. Quando io corro, indosso la maglia dell’Orica, ma sul petto porto con orgoglio i colori della Colombia. E poi con i nostri risultati abbiamo contribuito a far conoscere nel mondo il nostro Paese: pochi anni fa non erano molti gli europei a sapere dove fosse sulla ca carta geografica, adesso non è più così".

Si parla anche della carriera e dei sogni di Esteban, che si è fatto amare e apprezzare soprattutto durante lo scorso Giro d'Italia. Una corsa a tappe che ha sfiorato di vincere, ma che ha fatto crescere il colombiano, il quale svela il suo più grande sogno: "Vincere il Tour de France. Lo è da quando ho 10 anni. Ancora non correvo in bici, ma non mi staccavo un attimo dalla tv. E poi c’è il Giro. Sono cresciuto in Italia, Claudio (Corti, ndr) me l’ha fatto amare. Quest’anno sono arrivato molto vicino a vincerlo: so che presto ci riuscirò. Un mio idolo da bambino? Ammiravo i campioni colombiani di allora: Santiago Botero (il primo iridato, crono 2002; ndr), Victor Peña, che vestì la maglia gialla, e Mauricio Soler, che vinse una tappa al Tour e la maglia a pois. Adesso mi piace Froome, non è solo un grande campione ma anche una persona a modo, rimasta normale anche dopo tre Tour. E Quintana, chiaro. Siamo amici, siamo stati anche compagni di camera quando abbiamo corso nella stessa squadra, nel 2011".

Non è stata una grande stagione solo per Chaves, ma per tutto il movimento ciclistico colombiano. Lo sottolinea lo stesso scalatore: "Penso che questa sia stata la nostra stagione migliore in assoluto. Non sono sorpreso, perché da noi c’è tanto talento, da sempre, e non sono per il ciclismo. Ma prima, probabilmente, c’erano più difficoltà. Il colombiano ha una grande voglia di emergere, sa che attraverso lo sport può costruirsi un futuro migliore, sa che lo sport può diventare un’occasione di riscatto. E un lavoro a tutti gli effetti".

La carriera da ciclista ha regalato grandi gioie finora all'ancora giovane Chaves. Ma c'è ancora molto che Esteban vorrebbe fare, quando è giù dal sellino: "A 17 anni ho smesso di studiare. Ero a un bivio e ho dovuto scegliere: impossibile fare bene due cose importanti insieme. Ma quando smetterò, vorrei riprendere in mano i libri. Cosa vorrei fare? Adesso dico il dottore, perché sono rimasto ammirato dai miracoli che i medici hanno fatto con il mio braccio destro. Su dieci specialisti, solo uno, quello che poi mi ha operato, mi regalò una speranza. È stata molto dura, ho impiegato un anno per tornare in gruppo. La funzionalità del braccio adesso è all’80 per cento, e sarà sempre così. Per esempio non riesco a prendere in corsa la sacca del rifornimento, lo deve fare un altro al posto mio. Oppure non riesco a mangiare con la mano destra. E poi altri movimenti, che però non m’impediscono di correre".

La chiusura è dedicata alla Orica Green-Edge, la squadra che ha creduto in lui e ora si gode i grandi risultati. Chaves è davvero riconoscente alla sua attuale formazione: "Non finirò mai di ringraziarli. Quella firma per me fu molto importante, era un enorme attestato di fiducia. E ha rappresentato un grande stimolo durante la rieducazione, mi ha aiutato a stringere i denti, a non mollare nei momenti difficili".