In molti non hanno più sentito parlare di Leonardo Piepoli da quello scandalo del 2008, quando al Tour de France risultò positivo alla Cera (epo di terza generazione), assieme al compagno di squadra Riccardo Riccò. Una brutta macchia sulla carriera del Trullo volante, arrivata tra l'altro proprio al tramonto dell'attività.

Oggi però l'ormai quarantacinquenne ha pienamente riconosciuto il suo sbaglio e, come racconta in un'intervista alla Gazzetta dello Sport, dedica il suo tempo all'allenamento dei giovani, avendo conseguito il patentino di primo livello  per i ragazzi da G1 a G6, ma anche a tanti professionisti: "Il mio sogno è sempre stato allenare, offro consulenze sportive ai ciclisti riconosciute dal team. Quando correvo mi sono accorto che apprendevo tante cose in ritardo e ho pensato a una figura che potesse affrettare questi meccanismi. Così a fine carriera ho iniziato a dare consigli ai corridori in maniera amichevole. Il metodo d'allenamento? Cerco di indagare sui metodi degli altri sport per trasferirli nel ciclismo. Tutto poi va adattato, non esiste uno standard: c'è chi segue alla lettera quello che gli si dice e chi ha bisogno di stimoli. Se un corridore sbuffa in allenamento bisogna cambiare: metà del lavoro che ruota intorno a un ciclismo è di tipo psicologico. Dubbi su un ex dopato che allena? Le squadre non fanno salti di gioia all'inizio, ma chi ha mostrato perplessità poi si è ricreduto".

Oltre all'attività da preparatore, Piepoli partecipa a diverse conferenze contro il doping e nella stessa intervista racconta come l'episodio del 2008 abbia segnato profondamente la sua vita: "I freni più grossi me li sono posti da sol, mi chiedevo se potessi dare ancora consigli dopo quello che era successo. Ai convegli sul doping a cui partecipo ripeto che la vera condanna è quella che uno si porta dentro: non puoi sfuggire al tuo stesso sguardo. Cosa dicono i miei atleti? Temono di disturbare ma poi chiedono e io spiego loro quanto sia negativo. Adesso però il ciclismo è cambiato, ci sono più controlli e la cultura è diversa. Ho visto il video di un bambino di fronte a un vecchio telefono con la cornetta che non sapeva neanche come comporre il numero, ecco l'atteggiamento dei giovani nei confronti del doping è questo: prendono le distanze, ne hanno il terrore".

Infine un commento sulla vicenda legata ad Alex Schwazer, che come lui si è dato all'allenamento: "Ci sono persone che di una squalifica per doping non gliene è importato nulla, altre che sono sbattute contro un muro: Schwazer mi pare della seconda specie. Faccio fatica a credere alla nuova positività, lo vedo come una vittima. Non potrà insegnare nulla di male".