E' notizia di ieri che la città di Boston, Massachusetts, ha annunciato il ritiro della sua candidatura ad ospitare i Giochi Olimpici del 2024. Lo ha comunicato in conferenza stampa direttamente il sindaco della Hill City Martin J. Walsh: "Non ho intenzione di far gravare sui contribuenti le spese per la preparazione delle Olimpiadi del 2024 - le parole del primo cittadino - e soprattutto non posso ipotecare il futuro della mia comunità. Non siamo certi di poter sostenere il peso economico che l'organizzazione di un evento del genere comporta. Non mi assumerò tale impegno senza essere certo che i miei concittadini siano tutelati".

Le dichiarazioni del sindaco Walsh eliminano dunque dalla corsa alle Olimpiadi del 2024 una delle pretendenti più accreditate. Gli Stati Uniti non ospitano i Giochi Olimpici estivi dai tempi di Atlanta 1996 (le edizioni del 2016 e del 2020 sono già state assegnate a Rio de Janeiro e a Tokyo), un'era geologica considerando il peso che gli USA hanno nella pubblicizzazione e nello sviluppo dello sport mondiale. Ecco perchè l'Usoc, il comitato olimpico a stelle e strisce, starebbe pensando di virare immediatamente su Los Angeles per far fronte all'improvvisa defezione di Boston. Dopo il flop della candidatura di Chicago pochi anni fa, ecco che gli Stati Uniti si ritrovano ancora una volta privi di sedi olimpiche capaci di competere con il resto del mondo.

Evidentemente in questi giorni a Boston si è preferito disattendere il motto decoubertiniano secondo cui ciò che conta è partecipare. Troppo oneroso il sistema che ruota intorno all'organizzazione di un'Olimpiade - nonostante i finanziamenti federali e gli interventi dei privati -  e troppi anche gli impianti olimpici destinati al disuso una volta terminata la manifestazione a cinque cerchi. Basti pensare a ciò che è accaduto ad Atene, dove i Giochi del 2004 si sono trasformati da volano per una crescita economica generale a fardello impossibile da sopportare a causa dei costi fuori portata di tutto ciò che serve per organizzare un'Olimpiade. Oppure può essere utile volgere lo sguardo a ciò che resta di Torino 2006, ultima sede italiana dei Giochi invernali, con tutte le strutture costruite per l'occasione già fatiscenti e ormai divenute vere e proprie cattedrali nel deserto, e con uno Stadio Olimpico - il vecchio Comunale - ristrutturato ma utilizzato solo per le partite di calcio del Torino, e non invece adeguatamente sfruttato come palcoscenico di altri eventi sportivi di rilievo internazionale.

La rinuncia di Boston ha immediatamente ringalluzzito i promotori del progetto Roma 2024, candidatura ormai di routine, sostenuta praticamente con cadenza quadriennale, e puntualmente snobbata dal CIO. Il CONI continua a sbandierare il nome di Roma come se fosse sufficiente far leva sul fascino e sulla storia della città eterna per ospitare i Giochi Olimpici. L'edizione del 1960, unica svoltasi in Italia, riporta alla mente ormai immagini sbiadite, offuscate da oltre mezzo secolo di rifiuti, figuracce e inadeguatezze. Incuranti delle condizioni in cui versa il sistema nazionale, le autorità politiche e sportive proseguono invece - mostrando una pervicacia senza eguali - ad insistere sulla candidatura olimpica. Ma i fatti di Boston dimostrano in maniera nitida come ospitare i Giochi non sia solo un onore, ma soprattutto un onere, con tutto ciò che ne comporta dal punto di vista economico e finanziario. La lezione che ci arriva dal Massachusetts è fin troppo scontata: a volte un gesto di responsabilità come quello della rinuncia può essere più adeguato al contesto olimpico di una candidatura urlata in versione spot pubblicitario. Uno spot del quale si fanno finta di ignorare i costi pur di apparire centrali nel panorama sportivo internazionale.

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Andrea Russo Spena
Laureato in giurisprudenza, con una passione senza confini per lo sport. [email protected]