160 lunghi giri, passati a controllare, cercando di gestire al meglio la situazione di vantaggio accumulatasi nelle precedenti gare. Alla fine, all'ultimo decisivo attacco, strappare quella medaglia che rappresenta più di un sogno. Elia Viviani è medaglia d'oro nell'Omnium, disciplina del ciclismo su pista, a Rio 2016, chiudendo davanti ad un'icona come Mark Cavendish e al danese Hansen: un sogno per lui, un sogno per il movimento delle due ruote, un sogno per tutti gli Italiani.

"Nella mia testa c’era quello che è successo negli ultimi quattro anni, non potevo mollare tutto questa volta", ha spiegato a fine gara, emozionatissimo e con gli occhi ricolmi di lacrime, fonte di un misto tra gioia ed incredulità. "Ero qui per l’oro, un’altra medaglia mi avrebbe deluso. Pensavo a questo oro da quattro anni, è stata la gara perfetta, la più importante della mia vita. Ho tante persone da ringraziare, cominciando da Filippo Ganna, il giovane inseguitore campione del mondo che mi ha aiutato a migliorare tanto a cronometro. Dopo avere perduto mondiali e Olimpiadi per  mezza ruota, non volevo e non potevo sbagliare".

Eppure, tra il cinquantesimo ed il sessantesimo giro, una caduta causata da uno scontro tra Cavendish ("Ha fatto una corsa da fenomeno", dirà il britannico a fine gara su Elia) e il coreano Park coinvolge inevitabilmente anche l'accorrente azzurro. La pista è però benevola e, se le condizioni fisiche permettono di ritornare in sella, l'abbuono di cinque giri porta l'atleta a rientrare senza problemi. Così capita a Viviani, freddo nel rilanciarsi subito in gara, sia fisicamente che mentalmente: "Dopo la caduta ho impiegato un giro per capire in che condizioni fossi, poi ho guardato il tabellone e ho visto che ero ancora primo, così l'adrenalina è andata a mille e ho corso ancora più veloce. Sono rimasto lucido, diversamente da quello che mi è accaduto altre volte".

Un oro che, a 27 anni, pone un punto al termine di un capitolo della vita di Viviani: "Qui si chiude la mia avventura sulla pista, mi metterò ancora a disposizione di questi splendidi ragazzi, ma ora devo pensare alla strada. E al mondiale in Qatar". Quella strada che poco tempo fa gli aveva dato una delusione enorme, terminare il Giro d'Italia fuori tempo massimo: "E’ stata una delle batoste più forti della mia vita". Le differenze però tra il vestire la divisa del Team Sky e il vestire l'azzurro dell'Italia è evidente: lo aveva capito forse nel 2004, quando vide trionfare il suo idolo (insieme a Wiggins) Paolo Bettini. "In fondo il ciclismo è un piccolo mondo - continua Elia - ma quando sei ai Giochi e sai che ti vede tutta la nazione sale la pressione, ma poi la gioia è immensa". Quella gioia condivisa con un'intera nazione.

(fonti: Repubblica e La stampa)