Michael Phelps scuote l'acqua, protende le braccia e divora le due vasche della piscina di Mesa, Arizona. Sei mesi lontano dalle corsie, sei mesi di squalifica per guida in stato di ebbrezza, ora il rientro. Il riscontro è subito importante, Michael Phelps vince i 100 delfino, la sua gara, più di ogni altra. Lo fa con un crono discreto, 52"38, quasi sei decimi meno di quanto nuotato in batteria, respingendo l'assalto dell'eterno rivale Lochte e di Shields.

Comincia da qui, da una sfida a stelle e strisce, la rincorsa all'ennesima cavalcata olimpica. Rio dista poco più di un anno e Phelps vuole aggiornare il libro dei record. Al mondo, oggi, Phelps non risulta tra i migliori della specialità. Il polacco Czerniak guida la graduatoria 2015 con 51"37, il miglior americano è Jack Conger, 51"64, eppure il mondo osserva il 29enne di Baltimora.

Il più forte nuotatore di sempre si rimette in discussione, scala la lista cronometrica, il 52"38 vale la ventesima prestazione mondiale, tre decimi peggio del Rivolta di Riccione, ed è il punto di partenza per l'ascesa del pluridecorato Phelps. Porta chiusa per Kazan, Phelps accetta la decisione della Federnuoto, dopo l'apertura del numero uno della Fina, Marculescu. L'obiettivo è posto più in là e lo sguardo, proiettato sul futuro, racconta di convinzione e voglia di mettersi in gioco.

La distanza dalla vasca sembra aver restituito a Phelps il piacere per la sfida, il gusto del sacrificio, il talento è intatto, quello resta, attività o meno. Dopo i 100 farfalla, ora l'approccio con dorso, stile e misti. Il carniere è già ricco, Michael Phelps si riprende il proscenio.