Sognerà a lungo quei 16 centesimi, Federica Pellegrini.

Perché le lacrime piante in diretta, oltre la soddisfazione espressa, tradivano emozioni contrastanti. Certo il sollievo per l’ennesima riconferma, ma - scommettiamo - anche il gusto amaro e inconfesso della beffa, dell’apoteosi strozzata in gola.

I fuoriclasse sono fatti così: non si fermano alla distinzione, vogliono l’eccellenza. Sempre. Condannati a vincere dalle proprie e altrui aspettative, contro ogni avversario e pronostico, perché ai loro occhi brilla una sola medaglia.

Ha fiutato il colpo, Federica, dopo l’ultima virata. Quando la solita progressione chirurgica l’ha riportata sulla battistrada Ledecky, con le altre all’altezza dei fianchi, l’impresa le è parsa possibile: tra lei e l'oro solo l’americana volante, e quello sprint finale che quasi sempre l’ha incoronata.

Quei pochi secondi sono diventati una cavalcata eterna, un dramma sportivo dai contorni epici: la regina spreme le sue riserve, per difendere il trono della specialità che l'ha consacrata all'olimpo; la predestinata, erede in rosa di Phelps, a contenderle la storia. Il finale, stavolta, respinge la Divina, che alza gli occhi al cielo in un gesto eloquente misto tra gioia e rammarico. Pazienza.  

Voleva sorprendere, Federica, e c'è senz’altro riuscita. L’oro, ideale suggello di cotanta carriera, avrebbe avuto un sapore diverso, inutile negarlo. Ma a 27 anni suonati - la terza età nel forsennato mondo del nuoto in vasca – ha stupito ancora, regolando fior di rivali impazienti di saltarle alla gola e certificarne, di fatto, la resa.

Così non è stato, anzi. Federica rilancia in attesa delle prossime Olimpiadi di Rio 2016, quando gli occhi e il tifo degli italiani saranno tutti per lei, una volta ancora. Per l’ultimo guizzo d’oro.