Di Federica Pellegrini si parla spesso a sproposito. Giudizi insindacabili sulla persona, ancor prima che sull'atleta. Nella maggioranza dei casi, a prender parola, è qualcuno di estremamente lontano dal mondo Pellegrini, graffiato dall'impronta che la divina riesce a lasciare ad ogni suo passo. Eliminare dalla tela croste di gossip e luoghi comuni è quindi operazione primaria, per osservare più in profondità la donna Federica, corridoio d'ingresso per apprezzare la Pellegrini nuotatrice. Un carattere come quello della Pellegrini si costruisce con il tempo, accarezzando con mano il baratro, sfidando con coraggio e lacrime il destino. In uno speciale, "Irregolari", la Rai nei giorni scorsi ha "rivisitato", "ricostruito" la vita di Federica. Un tuffo violento, a tratti crudo, essenziale per comprendere la grandezza della Pellegrini. 

La sua impresa, a 48 ore circa di distanza, continua a diffondersi nei corridoi della Duna Arena, rappresenta qualcosa di mistico, ha risvolti che non possono trovare spiegazione nell'ordinario. La Pellegrini ha vinto una gara che per tutti non poteva vincere. Non poteva, in virtù dei tempi di ingresso in finale - 1'55"58 per lei - non poteva in virtù di una Katie Ledecky campionessa mondiale ed olimpica in carica, non poteva in virtù di nuove aspiranti al trono, da Veronika Popova ad Emma McKeon. La stessa Federica considerava l'eventualità lontana. Il podio come obiettivo primario, comunque difficile. Una sfida prima di tutto con i suoi limiti, una determinazione feroce - e qui torniamo al carattere Pellegrini - la scelta evidente di rinviare l'epilogo. I propositi di addio, almeno ai 200, non sono nuovi, Federica li cullava da mesi, dodici per la precisione. Tutto era stato costruito ad arte a Rio, quella doveva essere la recita ultima di una fuoriclasse unica. L'1'54"55 di avvicinamento aveva convinto tutti, la Pellegrini era pronta per dare una pennellata a cinque cerchi e uscire di vasca. Il funesto epilogo, quarto posto, lacrime, incredulità, ha mutato il finale. La Pellegrini non ha accettato di lasciare uno sport a cui ha dato tutto, ben oltre le pagine di giornali e giornaletti, in difetto. 

Ha cambiato preparazione, ha cambiato vita, ha cambiato ogni cosa. Non per vincere, ma per non avere rimpianti, per darsi un'ultima occasione. Si è imposta in corta, fase di passaggio per un'appuntamento evidenziato in rosso, il mondiale ungherese. La Pellegrini ha avuto le sue risposte in eliminatoria, è sembrata, a pochi metri di distanza, performante, una bracciata piena, un controllo spaventoso della situazione. Conosce i 200 e questa sicurezza traspare quando li nuota. In semifinale si è confermata, ma sono state le altre ad acuire i suoi stessi interrogativi. Ritmo forsennato. La finale è stata un vortice emozionale pazzesco. Sguardo vibrante, l'occhio a scorrere rapido tra Federica e il resto della vasca, rigorosamente in piedi, come si seguono le cose grandi. La McKeon ha sparato il suo 50 feroce, per alterare lo spartito di regolariste come Ledecky e Pellegrini. 26"75 l'australiana. Sopracciglio alto ai 100, Ledecky in linea, ma non in fuga, Pellegrini distesa. Allerta massima dai 125, con Federica a ricucire, maestosa nel suo incedere. L'ultima vasca appartiene alla leggenda del nuoto, 28"80 per coprire il ritorno, 95 centesimi meglio di Katie Ledecky. 

Federica, per l'ennesima volta in carriera, si è accesa al tramonto, quando le energie sfumano, quando le braccia affondano nell'acqua. Alta, bella, una dea in grado di fondersi con il suo elemento naturale. Ha stravinto, ha reso Katie Ledecky, l'aliena, una nuotatrice normale. Ha perso l'americana, per la prima volta. 1'54"73, il secondo tempo senza i cosiddetti costumoni per la Pellegrini. Ha battuto le mani sull'acqua, con una forza pazzesca. Si è fermata un attimo a bordovasca per prendersi l'applauso, per assaporare il suo capolavoro. Non ha dormito, lo ha rivelato lei stessa, perché in quella gara ha riversato ogni cosa, i sacrifici di una vita. 

Ora inizia, per la Pellegrini, una nuova vita, più leggera a suo dire. I 100, un'evoluzione avviata già da qualche tempo. La velocità, intrigante. Parte da un ottimo personale, modellabile con un allenamento specifico. Dalla Ledecky alla Manuel, nel mezzo Federica, regina con corona. Sei anni dopo, ancora campionessa del mondo, per l'ultima volta. Almeno sui 200.