A quattordici anni non sai esattamente che cosa ti spinga a prendere un treno alle 8.30 di domenica mattina. Sei andato a scuola tutta la settimana, al pomeriggio hai avuto gli allenamenti e il sabato sera te lo sei giocato ancora una volta in palestra: capirebbero tutti se, in quell’unico giorno libero, la tua sveglia suonasse appena prima di pranzo e la tua unica compagnia fosse la coperta sopra al divano. A quell’età, poi, non hai neanche tanto l’idea che quel treno, in fondo, sarà sempre lì di settimana in settimana: l’unica cosa che conta è prenderlo proprio quel giorno, perché per due settimane non se ne riparlerebbe di più, e quattordici giorni, a quattordici anni, sono troppi per accettare il compromesso. Così, zaino in spalla, nel freddo dell’inverno del Nord Italia sali i tre scalini che separano casa tua dalla casa della tua squadra: la partita del pomeriggio non ti basta e alle 10 sei già in palestra per vedere l’allenamento di rifinitura. La verità è che, la prima volta che vedi dal vivo, la Serie A1, firmi un tacito patto con il diavolo: da inconsapevole adolescente alle prese con i compiti in classe entri in un mondo magico. Il treno è il tuo personale armadio per raggiungere la tua Narnja. A me è successo: la mia casa, domenica sì domenica no, era il PalaNorda e la mia più grande passione la Foppapedretti Bergamo. Ero entrato in un microcosmo dove si respirava solo passione per la pallavolo. Passione sana, fatta di tifo sportivo e cuori colorati dei colori societari; ero, insomma, nel mio mondo.

Vedere un palazzetto come quello di Bergamo pieno, in realtà, è abbastanza facile: vuoi per la ridotta capienza, vuoi perché Bergamo è la storia della pallavolo, la domenica non si intravede uno spazio libero tra gli spalti del PalaNorda da ormai vent’anni. Stupisce, però, che in questo Campionato Italiano 2015/2016 i palazzetti italiani siano costantemente pieni: migliaia di persone vogliono assistere alla magia del volley dal vivo. Lo stupore, in realtà, è più per i neofiti della Serie A1 che non per gli appassionati incalliti. I secondi hanno scoperto ormai da anni la magia di una domenica al palazzetto, e sognavano da ormai troppo tempo quello che sta accadendo in questa stagione. La cultura pallavolista italiana, infatti, giustifica questo entusiasmo: la nazionale maschile è stata la più vincente degli anni 90, quella femminile spadroneggiava nel mondo fino a qualche estate fa. Da ormai due anni, Roma ci regala lo spettacolo del Foro Italico, la Federazione organizza le più grandi manifestazioni internazionali a casa nostra e il Mondiale femminile 2014 è ancora negli occhi di tutti. Insomma: l’Italia, dopo le bellezze artistiche, sembra diventare sempre più avvezza anche a quelle sportive. A gioirne, oltre alle società, sono proprio quelle persone che i palazzetti li frequentano da anni e che per anni proprio non si sono spiegati come potessero esserci gli stadi pieni e i campi da volley vuoti. Forse, avevano ragione loro.

La verità, in fondo, è che quello della pallavolo italiana è un mondo fatto di passione. Le società azzurre non hanno gli stessi interessi economici di altri sport e tra i tifosi non si sono mai visti gli esaltati pronti a uccidere per motivi di “fede”. La dirigenza di una squadra lavora per ambizione puramente sportiva, per garantire ai propri seguaci il miglior spettacolo possibile; i tifosi, invece, rispondono donando tutto l’entusiasmo di cui sono capaci. I palazzetti italiani, poi, sono luoghi sicuri, luoghi per le famiglie, luoghi per l’anziano che non riesce ad arrendersi alla sua passione, per il ragazzo che quella passione non riesce più a contenerla, per il bambino che, grazie ai genitori, di quella passione vivrà per tutta la vita. Il volley italiano, adesso, è in grado di riempire i palazzetti; altri Paesi, seppur con maggiori disponibilità e nomi più illustri in squadra, offrono sul campo uno spettacolo che meriterebbe di più di un palazzetto mezzo vuoto. La differenza è lampante e salta all’occhio soprattutto guardando le partite di Champions League. La differenza, ancora una volta, è una questione di cultura. Con questa convinzione non stupisce più che un campionato come quello giapponese - di sicuro non uno dei più competitivi - veda impianti da 10 000 posti sempre sold out; con questa convinzione, ormai, non dovrà più stupire l’entusiasmo del Bel Paese nei confronti della pallavolo. 

Arriverà il tempo in cui il volley riempirà i palazzetti di tutto il mondo, ma, per il momento, godiamoci il nostro spettacolo. E, se vogliamo regalare qualcosa di veramente speciale a Natale, regaliamo una domenica al palazzetto a chiunque. Perché quel patto con il diavolo aspetta l’adesione di tante altre persone, e, in fondo, è un contratto che non fa male.