Quando poco più di dieci anni fa ho iniziato a seguire il biathlon, il mio approccio nei confronti di questo sport è stato di semplice curiosità.
Seguivo sci alpino e sci di fondo, discipline che hanno fatto la storia degli sport invernali in Italia. 
Il biathlon viaggiava e viaggia in parte tuttora tra l'ignoranza di alcuni e lo scetticismo di molti, me compreso. Poi cominci a vedere la fatica enorme che compiono questi atleti, mentale prima ancora che fisica, e allora quella curiosità si trasforma in interesse, lo scetticismo gradualmente diventa sana ed irrefrenabile passione.
La parabola ascendente che ha compiuto il biathlon nel mio piccolo universo sportivo è stata paradossalmente la medesima su scala mondiale. 
Ha lentamente scalato posizioni e battuto record di ascolti in tutta Europa: in Germania e Russia il biathlon è un vero e proprio sport nazionale, in Francia, complici anche i successi passati di Poiree e presenti di Fourcade, sta vivendo dei fasti assoluti e in Norvegia il gap con lo sci di fondo non è poi così ampio. 
L'Italia, da buon paese calciocentrico, vive questo processo da più lontano, ma non è per nulla indifferente.
L'attenzione verso il biathlon cresce anno dopo anno, lo dimostrano i dati dei gruppi dedicati sui social network o quelli di Eurosport, unica emittente che trasmette il biathlon nel nostro paese.

Una passione crescente culminata con i mondiali di Kontiolahti. Una rassegna storica per l'Italia, soprattutto nel settore femminile. 
Le nostre atlete dopo una stagione da protagoniste assolute in Coppa del Mondo sono riuscite a piazzare una doppia zampata anche nella rassegna iridata.
Due medaglie di bronzo, la prima ottenuta nella staffetta femminile. Vittozzi, Oberhofer, Gontier e Wierer, già seconde in quel di Oslo-Holmenkollen, hanno tirato fuori una gara solida, senza picchi straordinari. Hanno fatto semplicemente il loro e per questo è arrivata la medaglia, a testimonianza della maturità raggiunta dalla compagine azzurra. 
E ci sarà da divertirsi in futuro, visto che la più "anziana" delle quattro è Karin Oberhofer (29 anni). Wierer, Gontier e Vittozzi hanno ancora enormi margini di crescita. Quest'ultima è stata capace di vincere una medaglia mondiale ad appena vent'anni e ha tutte le qualità per emergere con prepotenza nel futuro immediato. Una menzione d'onore la merita anche Federica Sanfilippo, undicesima nell'individuale e assolutamente all'altezza delle altre quattro. 
La seconda e forse più inaspettata medaglia arriva l'ultimo giorno di gara ed è targata Karin Oberhofer. L'impresa dell'atleta trentina rimarrà nella storia come una delle prestazioni più emozionanti per il biathlon azzurro. 
Riuscire a sconfiggere nel corso dell'ultimo giro una campionessa assoluta come Darya Domracheva è una gemma da incorniciare e tramandare ai posteri, così come è da ammirare la parabola di questa atleta, straordinaria per dedizione e spirito di sacrificio. Un duro lavoro sugli sci e al poligono, che l'ha portata nelle prime dieci della classifica di Coppa del Mondo e più volte sul podio in questa stagione. 

E pensare che le medaglie sarebbero potute essere tre, se quei quattro decimi non avessero relegato Dorothea Wierer ad un amaro quarto posto nella 15 km. È lei l'atleta tipo del biathlon moderno: potente sugli sci e soprattutto rapida e precisa al poligono. 
Dorothea Wierer è il presente ed il futuro del biathlon azzurro, di questo ne siamo certi: la medaglia individuale non faticherà ad arrivare. 
Per adesso godiamoci il bottino raggiunto in questi mondiali, nella speranza che anche il settore maschile possa crescere ulteriormente. 
Dopo più di dieci anni di convivenza e dopo un mondiale tinto d'azzurro, mi sento di dichiarare che è impossibile non amare uno sport così complesso ed imprevedibile. Basta solo dargli tempo e trasformerà la curiosità e lo scetticismo in passione consumata.