C’è stato un tempo in cui la massima lega professionistica di pallacanestro americana, rigettava con presunzione e disinteresse l’idea di accogliere, al suo interno, cestisti non nati o formatisi negli Stati Uniti.

Non più tardi degli anni ottanta, nella decade che segnava gli ultimi vagiti della Guerra Fredda globale, David Stern non mostrava alcun interesse ad aprire la NBA agli stranieri, e la (sub)cultura dominante nella Lega, guardava con sospetto persino alle leggende europee, come Sabonis e Petrovic, non ritenendoli adatti ai ritmi e al gioco atletico e tecnicamente sopraffino in voga in quegli anni.

Se quel tempo è giunto al termine, attraverso un’apertura rivoluzionaria delle frontiere, talvolta al di là dei reali limiti tecnici dei nuovi stranieri dai nomi così esotici e impronunciabili per gli americani, lo si deve anche e soprattutto al ripensamento dell’uomo che, della NBA, è stato leader e commissioner per diversi decenni. David Stern ha lasciato nelle mani di Adam Silver una Lega sempre più multiculturale, “europeizzata” nel gioco (con l’enorme impiego del tiro da tre punti e delle spaziature con quattro piccoli) e che punta a nuovi mercati, cercando di inserirsi in contesti in cui, il basket, è poco più di un passatempo di nicchia per le nuove generazioni.

Se Yao Ming è diventato una leggenda da Hall of Fame, parte della ragione è insita nella lungimirante visione, tra marketing e meriti sportivi, di Stern. Il vero trail blazer (non nel senso di giocatore di Portland ndr) venuto dalla Cina non fu però la prima scelta assoluta del 2002 . Nel 1996, Zhizhi Wang fu scelto dai Dallas Mavericks. Rimase nella neonata Lega cinese per altri quattro anni, prima di diventare un giocatore dei Mavs nella stagione 2000-01. Tra il 2002 e il 2004 furono addirittura tre i cinesi nella NBA, con il centro di origini mongole Mengke Bateer che raggiunse i propri connazionali giocando per Raptors e Spurs. In seguito, altri sarebbero stati scelti, con alterne fortune.

Nel 2008 ci fu lo storico approdo nella NBA del capitano della nazionale iraniana, il centro Hamed Haddadi, che si divise per cinque anni fra i Grizzlies e una breve parentesi a Phoenix.

Non più tardi di tre stagioni orsono fu il turno della Linsanity, con Jeremy Lin, americano di origini taiwanesi, a generare follia e muovere enormi quantità di denaro dall’Asia, diventando un giocatore di discreto livello per i New York Knicks.

Dopo la scarsa fortuna del play giapponese Yuta Tabuse (i nipponici sono fenomeni del baseball, e credo che sia il caso di fermarsi lì), restava un altro mercato, totalmente inesplorato, da conquistare: il miliardo e passa di cittadini indiani, capace sulla carta di muovere un indotto commerciale che, a fatica, i due sport di squadra più popolari al mondo (il primo dei due, purtroppo, non è il basket), stanno cercando di attrarre.

Già, ma come fare? L’India non ha una lega professionistica di basket rilevante. Il cricket è lo sport nazionale, e siccome gli inglesi hanno qualcosina da guadagnarci, entrare nelle grazie della multietnica nazione che diede i natali al Mahatma Ghandi, non è affatto semplice.

Eppure, "l'eletto", si sa, può presentarsi sotto forme che l’occhio umano, almeno inizialmente, non riesce a riconoscere. Il 2 dicembre del 1992 nasce a Toronto, Ontario, Canada, tale Gursimran Bhullar. Sim, per comodità, è figlio di genitori di etnia Sikh, trasferitisi anni prima in terra nordamericana dal Punjab, stato dell’India a maggioranza, appunto, Sikh.

Sim prende dai suoi genitori essenzialmente due fattori: altezza smisurata, e una tendenza a mettere su peso che gli crea non pochi grattacapi. Un giorno, al liceo cattolico Father Henry Carr di Toronto, il professore di educazione fisica nota questo ragazzone. “Siete tutti così alti in famiglia?” – “Beh Prof, mio fratello minore Tanveer (2.21, attualmente anche lui a New Mexico State ndr) sì, mamma e papà pure non scherzano…” – “Ti andrebbe di provare a giocare a pallacanestro?”. –“Non so cosa sia Prof, ma proviamoci”. Come un bambino che si innamora al primo tentativo del suo nuovo gusto in gelateria, Bhullar viene attratto da quel gioco che, pur non avendone mai avuto tecnicamente idea, domina grazie ad una stazza indifendibile sotto canestro. Tre anni dopo, viene raggiunto da Tanveer, formando una coppia di lunghi alquanto oversize. Sim comprende di poter avere un futuro da professionista, e dopo alcuni cambi di scuola finisce nella grande palestra cestistica di Huntington Prep, West Virginia. Nel 2011 Andrew Wiggins, per i non avvezzi, la star canadese (anche lui di Toronto) della NBA al primo anno con i Timberwolves, ha frequentato la stessa scuola, ormai da anni all’avanguardia per il programma di preparazione cestistica improntato ad un futuro nel College e, per i più bravi, nei pro.

Ottenuto il diploma, Bhullar comincia a guardarsi intorno. L’offerta di Xavier è allettante, ma per questioni burocratiche si vede costretto a rifiutarla, dopo un primo committment, poiché al primo anno non sarebbe stata prevista per lui la borsa di studio. I 42 mila dollari della retta annuale sono insostenibili per la sua famiglia, così Bhullar decide di fermarsi un anno (cestisticamente parlando) per accettare l’offerta di New Mexico State. Comincia a giocare nel 2012-13, e grazie alla preparazione acquisita al liceo, riesce a sfruttare i 2.26 cm per 160 kg di peso che Madre Natura gli ha donato. Conduce gli Aggies a due apparizioni consecutive al Torneo NCAA e viene eletto due volte miglior giocatore della Western Athletic Conference.

Si presenta così al draft 2014 insieme a quell’Andrew Wiggins, che ne aveva raccolto il testimone a Huntington Prep. Wiggins va alla numero 1 ai Cavs, Bhullar non viene scelto.

Per quanto fosse probabile l’evento di andare undrafted, Bhullar si sente crollare il mondo addosso. Il lieto fine però, sembra dietro l’angolo, o meglio, nell’angolo a sud-ovest degli Stati Uniti, in California.

Il proprietario della franchigia dei Sacramento Kings, capitale dello Stato di cui fu governatore il mitico “Schwarzi”, è il Dottor Vivek Ranadivè. Il nome vi dice qualcosa? Il 57enne businessman nel campo della computeristica e dell’informatica, con un patrimonio stimato di oltre 700 mln$, è nato a Mumbai, in India. Dopo una breve scalata fra i co-proprietari dei Golden State Warriors, nel 2013 Ranadivè ha venduto la sua quota azionaria ed è diventato socio di maggioranza e presidente dei Kings, acquistando il 65% delle azioni dalla famiglia Maloof, con la promessa di tenere la franchigia a Sacramento (c’erano speculazioni su un possibile rinnovamento dei Kings in quel di Seattle). Tra i principali alleati di Ranadivè nella scalata ai Kings, c’è Kevin Johnson, sindaco di Sacramento. In questo caso, sono certo che le orecchie degli appassionati si siano ampiamente drizzate. Avete capito bene, "quel" Kevin Johnson. Il tre volte all-star con la maglia dei Phoenix Suns, che ha da poco fallito per una manciata di voti il suo tentativo di entrare nella Hall of Fame di basket, si è da subito schierato al fianco di Ranadivè.

Il visionario presidente indiano, alla guida ormai da due stagioni dei Kings, con alterne fortune e scarsissima conoscenza del gioco (ma questa è un’altra storia), ha però colto subito la palla al balzo. Nella off-season del 2014 Sim Bhullar viene messo brevemente sotto contratto dai Kings, con l’occasione di entrare a far parte del roster dopo il training camp. Il 19 ottobre Coach Malone però sentenzia: “non è pronto”.

Bhullar viene rilasciato dai Kings la sera stessa, dieci giorni prima dell’inizio della stagione NBA. Il primo giocatore di origini indiane ad essere messo sotto contratto da una franchigia NBA, aveva perso l’occasione della vita. La storia finisce qui? Macchè. Come in ogni film bollywoodiano che si rispetti, il lieto fine deve pur esserci, nascosto da qualche parte nel plot. Il 2 novembre Bhullar viene messo sotto contratto dalla D-League ed entra a far parte dei Reno Bighorns. Ora, i Bighorns sono il club affiliato ai Kings nella lega di sviluppo. Ranadivè non vuole privarsi del tutto del centrone canadese. Dopo aver visto le prime partite dal fondo della panchina, Bhullar comincia a guadagnarsi minuti in campo, attraverso un lavoro di conditioning specifico che l’ha portato a perdere 15 kg. Impresa assolutamente non priva d’ostacoli, dal momento che il Coach della franchigia è tale Dave Arseneault Jr, figlio del creatore del “sistema”. Per i meno fanatici o per quelli che si sono persi i racconti del Maestro Buffa, Arseneault Sr è l’allenatore di Grinnell College, squadra che milita nella division III della NCAA di basket, laddove Dave Senior ha implementato una versione estrema del run&gun, con un uomo perennemente oltre la linea di metà campo e una serie interminabile di tiri da tre presi nei primi secondi dell’azione. Una roba da far impallidire lo stesso Coach D’Antoni.

Bhullar cresce così nel sistema di gioco ad altissimo ritmo della squadra, e colleziona statistiche difensive degne di un pro. Contro i D-Fenders arriva in febbraio una tripla doppia con la bellezza di 11 stoppate che non passa inosservata. Bhullar si guadagna meritatamente la stima di Coach e compagni, pur giocando minuti limitati. Il 2 aprile il nuovo allenatore dei Kings, George Karl, decide di offrirgli un decadale per consentire al ragazzo di esordire nel finale di stagione. Il 7 aprile la storia si compie: Sim Bhullar entra in campo per gli ultimi 16.5 secondi di garbage time nella partita contro i Minnesota Timberwolves (la squadra di Andrew Wiggins, e con questo il cerchio si chiude), diventando, pur senza minimamente toccare palla, il primo giocatore di origini indiane a mettere piede su un parquet NBA, durante una gara ufficiale. Non è tutto. Il giorno seguente, nella sconfitta contro gli Utah Jazz, segna il suo primo canestro. Da giorni il cellulare di Bhullar è impazzito. Messaggi e chiamate da ogni dove, India in particolare, invadono le sue giornate. È diventato, in maniera divertita e divertente, una celebrità mondiale, regalando spazio ad un popolo che, della NBA giocata, non aveva mai fatto parte.

Non è ancora chiaro se e quando i Kings decideranno di continuare, nella prossima stagione, ad avvalersi delle prestazioni di Sim. L’augurio, per la NBA, per l’India, e per Bhullar, è che il ragazzo possa davvero guadagnarsi il rispetto e la stima cestistica per la quale ha tanto sudato.