No. Non ci siamo. Decisamente no. Carmelo Anthony è una statua di pietra. Le braccia penzolanti, il viso contrito, l’unica parola che esce dalla sua bocca è quella di quattro lettere che comincia per f, accompagnata dal classico ‘man’. Il parquet del Wells Fargo Center di Philadelphia è glaciale per i suoi New York Knicks: T.J. McConnell, 24enne al suo anno da sophomore dopo quattro stagioni di NCAA, ha appena trasformato l’errore di Porzingis (un airball da tre, completamente solo nell’angolo) in un buzzer beater da annali, piroettato sul piede perno buttandosi indietro, per garantire ai 76ers la vittoria proprio contro Carmelo e co. 98-97 alla sirena finale. 

Okay, okay, la squadra di coach Brett Brown non è più lo zimbello della lega e sembra poter intravedere un futuro molto roseo davanti a sé; tuttavia, rimane l’ennesima sconfitta di questa stagione dei Knicks contro una squadra meno quotata, almeno sulla carta. La seconda in sole due settimane arrivata a tempo praticamente scaduto. Per referenze, chiedere a Giannis Antetokounmpo ed ai suoi Bucks della gita al Madison Square Garden.

È palese che all’interno della franchigia della Grande Mela ci sia qualcosa che non quadra. Come un cubo di Rubik con sei facce e sette colori. Se da un lato lo sviluppo di Kristaps Porzingis procede a gonfie vele (e non accenna a rallentare) dall’altro Joakim Noah e Derrick Rose non hanno garantito l’apporto richiesto in termini di esperienza e capacità di fare da collanti nello spogliatoio. L’ex-MVP, anzi, ha contribuito a creare un clima abbastanza turbolento quando, almeno per qualche ora, è sparito completamente dalla circolazione lunedì mattina, prima della partita contro i Pelicans, salvo ricomparire all’indomani, spiegando di essere corso a Chicago per problemi familiari che riguardano la madre. Niente di così misterioso, insomma, ma Phil Jackson ed il suo front-office hanno comunque inflitto una multa (senza sospensione) al numero 25, reo di non aver avvertito né i compagni né tantomeno lo staff. Questione risolta con una chiacchierata e qualche dollaro, ma nel complesso non esattamente una ventata di tranquillità. A tutto questo si aggiunge lo spettro del tempo che passa sulle spalle dello stesso Carmelo Anthony, oramai trentaduenne ed ancora alla ricerca di un supporting cast che possa sorreggerlo nella corsa al tanto agognato titolo. Più volte in passato Melo ha dimostrato il suo amore verso città e squadra, ma che sia arrivato il momento di cogliere l’occasione di una trade per poter giocare una o due stagioni in una contender reale prima del declino?

Nella serata di mercoledì, il numero sette ha contribuito alla casa con 28 punti, riuscendo a sigillare (apparentemente) il +10 a meno di due minuti e mezzo dalla fine. Eppure, per la prima volta negli ultimi vent’anni dei Knicks, la doppia cifra di vantaggio è stata dilapidata in centocinquanta secondi. Ragionando meno nella storia e più nel presente, nona sconfitta nelle ultime dieci.

Dopo il finale psicodrammatico, però, per gli sconfitti arriva anche la gogna dei microfoni del post partita: ad un inizio decisamente dimesso (“è stato molto deludente, non so neanche cosa dire”) Anthony ha fatto seguire un registro diverso, sfruttando i suoi gradi da leader indiscusso per mandare un messaggio abbastanza chiaro a sé stesso ed ai compagni: per raggiungere grandi traguardi bisogna ritenersi all’altezza di raggiungerli. “Dobbiamo dirci da soli che tutto questo è inaccettabile. Stavamo vincendo, eravamo avanti nella parte finale e lo eravamo anche con venti secondi e qualcosa sul cronometro. Per cui, dovrebbe essere inaccettabile per tutti noi”.

Critica ai compagni, ma anche un minimo a se stesso, dato che Melo è rimasto a secco nel quarto decisivo, con uno 0/3 dal campo su cui pesa un errore dall’arco ad un minuto dal termine che avrebbe probabilmente ammazzato la partita. Da lì in poi, con I Knicks a +3, tre canestri in rapida successione prima del clamoroso airball di Kristaps Porzingis, liberato da Jennings nell’angolo dopo una penetrazione taglia-gambe di Rose. Il lettone avrebbe potuto inchiodare il +4 a pochissimi secondi dalla sirena, con un tiro che ha segnato e risegnato su tutti i parquet d’America in questo primo anno e mezzo di NBA, ma la sua defaiance ha permesso agli avversari di colpire con l’ultima transizione dopo il rimbalzo vagante.

"È successo di tutto, non voglio parlare e dire qualcosa di sbagliato sugli ultimi momenti. Non riesco a fare mente locale, dovrò riguardare la scena a mente fredda" le parole di Melo a riguardo. Con altre dichiarazioni durante la sessione di allenamento del mattino successivo, poi, l’ex-Denver ha parlato della situazione generale della franchigia (“non è un punto morto”) e dell’ultimo mese orribile, che ha fatto precipitare il record (oltre alla posizione in classifica) sul 17-22. “Penso che ora sia il momento per tutti di rilassarsi un minimo. C’è stata tensione qui nei giorni scorsi, e non puoi giocare a pallacanestro in questa condizione. Abbiamo tutti bisogno di relax e di concentrazione, mettendo da parte tutto il resto”.

E la cura-Anthony sembra aver dato i suoi frutti, almeno nel breve periodo. 23 punti, nove rimbalzi e sei assist nella vittoria per 104-89 contro Chicago di stanotte. Altri 29 tasselli sono arrivati dalla coppia di ex, Rose-Noah, mentre il rookie Kuzminskas ha registrato il record personale di diciannove punti. Le voci dei protagonisti si uniscono nello stesso coro: una vittoria di cui si sentiva una necessità disperata per provare a rialzare la testa e a non mandare in rovina l'intera stagione. Non centrare i playoffs neanche in questo 2017 sarebbe infatti una batosta per tutto il roster, lo staff, ed in generale per l'ambiente Knicks.

Una buona risposta per New York, con i giocatori chiave capaci di dimostrare "di cosa sono fatti", citando Joakim Noah. Comunque, i Bulls hanno presentato un quintetto molto rimaneggiato per la trasferta, date le assenze di Butler, Mirotic e Valentine dovute all'influenza, e non rappresentavano un vero e proprio avversario temibile. Ora, il test più arduo e significativo sarà quello di incrementare il livello medio e di inanellare una serie di prestazioni (e soprattutto risultati) convincenti e capaci di riportare serenità ed entusiasmo tra le fila dei ragazzi di coach Hornacek. Le crepe non saranno di certo risolte con una mano di vernice, ma un primo passo fuori dal baratro è stato fatto. Attenzione però al pavimento scivoloso della NBA: basta un piede fuori posto, e si rimane al buio con in mano solo i rimpianti.

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About the author
Stefano Fontana
Ventenne. Ex-Liceo Scientifico abruzzese, trapiantato a Bologna nella facoltà di ingegneria informatica. Da sempre malato di calcio, fede rigorosamente rossonera, alla quale nel tempo si è aggiunta quella biancorossa dei Gunners. Con gli anni ho imparato ad amare tennis e basket NBA, grazie rispettivamente a Roger Federer ed alle mani paranormali di Manu Ginobili. Aspirante chitarrista con poche fortune. Non rifiuto mai una birra gelata.