Non conta la posizione geografica, non conta il blasone, non conta la storia, non contano il numero di talenti che hai lanciato nell’olimpo del basket mondiale. Non conta nemmeno il titolo di campione nazionale. Alla March Madness NCAA, infatti, conta solo una cosa: vincere. A sperimentarlo, sulla propria pelle, sono stati i ragazzi di North Carolina, clamorosamente battuti, al secondo turno, da Texas A&M.

In una partita organizzata e giocata alla perfezione, gli Aggies (settima testa di serie) hanno letteralmente annientato i Tar Heels, dominando nel pitturato in entrambe le metà campo. La sconfitta maturata, per 86-65, rappresenta il peggior gap negativo nella storia del monumentale coach di UNC, Roy Williams, al Torneo, ed è ancor più clamorosa se si considera che North Carolina giocava “in casa”, allo Spectrum Center di Charlotte, in uno Stato in cui è ritenuta praticamente imbattibile. Di fatti, delle 36 partite giocate nella terra del tabacco, questa è solo la seconda sconfitta, con la precedente datata addirittura 1979. Texas A&M, dal canto suo, era reduce da un 2018 costellato di infortuni ed assenze, che non gli avevano permesso di chiudere la stagione regolare con buone prestazioni, ma sul parquet che conta di più ha fatto sembrare uno degli upset più incredibili dell’anno poco più che ordinaria amministrazione. Proviamo a spiegare come è maturato.

Ad inizio partita, UNC sembrava in controllo, e ha trovato realizzazioni da tutti gli interpreti per volare a +7 a metà primo tempo. Da lì in poi, però, qualcosa si è rotto, e gli Aggies sono riusciti a mettere in piedi un clamoroso parziale di 29-8 (iniziato come un 15-0) per indirizzare la partita prima dell’intervallo, con un Davis on fire mentre gli avversari iniziavano a sbagliare tiri su tiri. Da lì, gli sfavoriti hanno controllato il vanataggio, rimanendo poi a velocità di crociera in tutta la seconda frazione. Sicuramente, un ruolo di primo piano è stato svolto dalla difesa del canestro degli uomini di Billy Kennedy, capaci di catturare 43 rimbalzi difensivi sui 52 disponibili (12, in venti minuti, messi a referto dal solo Robert Williams), ovvero l’82.6%. North Carolina, che arrivava alla gara come seconda squadra a livello nazionale per margine di rimbalzi catturati rispetto agli avversari, ha invece conquistato il 79% delle carambole sotto al proprio canestro, ma il conto assoluto parla chiaro: sono 16 i palloni catturati in più da Texas complessivamente (50 contro 34). Assieme al già citato Williams, l’altro intimidatore è stato il centro Tyler Davis, che ad una prestazione da 18 punti (7/9 dal campo, 4/7 ai liberi) e 9 rimbalzi ha unito anche tre stoppate ed una rubata al netto di soli due falli personali. Il gigante di San José (208 centimetri per poco più di 120 kg) ha letteralmente imposto la sua egemonia in entrambe le metà campo, ed ha manifestato la sua gioia anche ai microfoni del post-gara: “Abbiamo dimostrato grande unità di squadra. Non abbiamo iniziato bene, ma siamo stati bravi a rimanere insieme per tutto il tempo”.
Altra menzione d’onore per TJ Starks, capace di far piovere 21 punti all’interno di un attacco che ha tirato con il 51.7% dal campo (31/60) e con il 41.7% da tre (10/24). Prova di squadra monumentale, dunque, macchiata ma non minimamente inficiata dal rivedibile 66.7% alla linea del tiro libero.

Dall’altra parte, i Tar Heels hanno trovato 21 punti e 5 rimbalzi in 35 minuti dalla guardia Joel Berry II, ma questo non è bastato per evitare la sconfitta e l’eliminazione dal Torneo. La sensazione è che, una volta viste chiudersi con continuità la strada verso il canestro, i campioni nazionali abbiano deciso di puntare tutto sul tiro dalla lunga distanza, soprattutto quando il gap si faceva più massiccio ed era necessario aprire un parziale per poter rientrare. La cosiddetta shot chart, la mappa del tiro, è però impietosa: nessuno degli interpreti è riuscito ad andare oltre il 25% da tre (rappresentato dall’1/4 di Maye) per un complessivo 6/31 che lascia abbastanza allibiti. In questa stagione, infatti, UNC viaggiava con il 35%, lo stesso Luke Maye con oltre il 43%, cifre simili a quelle di Williams (40%), che due giorni fa ha lasciato andare un solo centro dalla lunga distanza su cinque tentativi. Eppure, spesso le occasioni create sono state limpide, ma probabilmente un misto di suggestione, ansia e nervosismo non ha permesso agli uomini di Williams di risultare efficaci, proprio sul campo dove anche Virginia, prima testa di serie assoluta, ha subito il primo upset della storia da una sedicesima classificata come UMBC al primo turno.

Coach Williams non aveva mai superato i 20 punti di scarto in una sconfitta in NCAA (il record prima di domenica era stato di 18 punti incassati da Kansas, dove ha allenato per 15 anni, nelle Final Four 2008). Allo stesso tempo, anche per la storia dell’Università è un punto particolarmente basso: un parziale del genere non si vedeva dal 1990, quando Arkansas vinse di 23 punti nelle Sweet 16. Abbastanza laconico il commento della stella Joel Berry nel post-partita: “Williams è un ragazzo estremamente atletico, metteva sempre il corpo davanti ed ha preso molti rimbalzi, mentre anche Tyler Davis era sempre presente nel pitturato, sotto canestro. Semplicemente non potevamo farci nulla”.

I due lunghi erano già stati decisivi nella prima vittoria, venerdì scorso, al primo turno contro Providence: ora, TAMU approda alla terza Sweet 16 della sua storia dal 1985, quando il tabellone fu riformato per includere 64 squadre. UNC, invece, arrivava da un percorso di 12 vittorie nelle ultime 13 gare al torneo. Tradotto in termini pratici, Roy Williams ha guidato i suoi a due finali negli ultimi due anni. La prima, rocambolesca, persa contro Villanova nel 2016, la seconda conclusa in trionfo contro Gonzaga. Per l’ennesima volta, i campioni in carica NCAA deludono le aspettative: anche lo scorso anno la stessa Villanova perse da Wisconsin al secondo turno, mentre Duke 1991/92 e Florida 2006/07 rimangono le uniche capaci di ripetersi l’anno successivo aver portato a casa un titolo.