Decimati dagli infortuni, dati per spacciati a inizio playoffs dalla maggior parte di critici e addetti ai lavori, i Boston Celtics di Brad Stevens sono a un passo dal raggiungimento della Finale della Eastern Conference. Fondamentale, la sofferta vittoria in gara-3 di secondo turno a Philadelphia, contro i 76ers di Brett Brown al Wells Fargo Center. Successo ottenuto all'overtime, al termine di una partita equilibratissima, decisa da un paio di grandi rimesse disegnate da Brad Stevens e dal maggiore sangue freddo dei biancoverdi nei momenti cruciali della sfida.

Avanti 3-0 nella serie, Boston può ora guardare alla prossima eliminatoria, quella che la vedrà fronteggiare LeBron James e i suoi Cleveland Cavaliers, sinora padroni contro i deludenti Toronto Raptors di Dwane Casey. Gara-3 a Philadelphia ha senza dubbio risentito del risultato delle due partite al Garden, vinte dai Celtics con maggiore agio di quanto poi il punteggio finale non abbia suggerito. Questi i punti chiave di una sfida per cuori forti, che ha appassionati tifosi e spettatori neutrali.

Ben Simmons, atteso. Atteso in tutti i sensi, da quello mediatico, dopo il solo punto, segnato dalla lunetta, di gara-2, a quello tecnico, l'australiano ha dimostrato pregi e difetti attuali di un giocatore in divenire. Stevens gli ha concesso il solito "cuscino" con il difensore, proponendogli accoppiamenti sempre diversi, da Tatum a Smart, da Morris a Brown. Simmons ha provato ad attaccare nei primi secondi dell'azione, soprattutto a inizio gara, una tendenza che è venuta meno nel secondo tempo. Dopo il secondo episodio della serie, l'australiano aveva dichiarato di aver "pensato troppo". Esattamente ciò che i Celtics volevano ottenere, chiudendo le linee di passaggio e impedendo quelle giocate di intuito che caratterizzano il prodotto da LSU. Ancora una volta, i numeri di Simmons non dicono tutta la verità: il fatturato è notevole, l'impatto stavolta meno. Si è preso un paio di tiri in fade away durante la partita. Una novità, su cui dovrà necessariamente lavorare. 

La difesa di Baynes contro Joel Embiid. Brad Stevens non ha mai mandato raddoppi sul camurenese, che se l'è giocata in più occasioni in uno contro uno contro l'australiano Aron Baynes. Botte, canestri, falli, tutto il repertorio di una gara di playoffs. Embiid ha segnato, sbagliato, schiacciato, ma per lunghi tratti ha tolto ritmo all'attacco dei Sixers. L'accoppiamento con Baynes doveva essere favorevole a The Process: lo è stato solo fino a un certo punto. La preoccupazione dei Celtics era quella di evitare di mettere in ritmo i tiratori di Philadelphia. Ecco perchè Stevens ha accettato un duello in post che avrebbe potuto produrre anche più punti per Embiid, ma che invece ha finito per spegnere il furore dei Sixers.

Il quintetto piccolo di Brett Brown. Il momento migliore di gara-3 Philadelphia l'ha vissuto senza Embiid in campo, ma con Dario Saric da centro. Il croato ha faticato anche contro Marcus Smart spalle a canestro, accoppiamento in fondo non sgradito ai Celtics, ma è stato una parte importante del parziale che ha sembrato lanciare i padroni di casa nei secondi dodici minuti della gara. Ersan Ilyasova, Marco Belinelli e J.J. Redick hanno aperto il campo per Ben Simmons: quintetto che ha retto bene anche in difesa, con ottima mobilità orizzontale, ma che è durato poco, un po' per le contromisure di Stevens, un po' per la necessità di rimettere in campo Embiid.

La tranquillità dei Celtics. Essere avanti 2-0 nella serie aiuta, ma i Boston Celtics si sono dimostrati ancora una volta squadra nel senso più pieno del termine. Mai allo sbando, sempre ben ancorati alla partita e convinti del loro sistema, che prevede movimenti di uomini e palla e solo qualche isolamento per Marcus Morris. Sui due lati del campo Boston è la miglior compagine di questi playoffs, al netto del talento disponibile. Se a ciò si aggiunge la voglia di non mollare mai, neanche al supplementare, dopo il pareggio di Marco Belinelli e un paio di possessi di svantaggio, ecco spiegato il 3-0 maturato nella notte.

Jayson Tatum. Se c'è un giocatore che esemplifica il concetto di cui sopra, è Jayson Tatum. Rookie da Duke, la terza scelta assoluta all'ultimo Draft aveva già impressionato in regular season, ma nei playoffs sta salendo un ulteriore gradino. Personalità straripante per un ragazzo giovanissimo, che in attacco segna in tutti i modi e con un'eleganza innata. Triple, attacchi al ferro per chiudere con braccia lunghissime, palleggi arresto e tiro, tutto il repertorio di un giocatore che ha notevoli margini di miglioramento. Per non parlare della sua presenza di spirito nelle pieghe della partita, in difesa e nei momenti in cui si tratta di eseguire a metà campo (già, perchè i Celtics non corrono). Anche se la stagione finisse qui, sarebbe Tatum la miglior notizia del 2017-2018 dei Celtics.

Mago Stevens. Brad Stevens si è guadagnato negli anni il soprannome di mago della panchina, per aver creato un sistema di gioco ben riconoscibile, modellato sulle caratteristiche degli uomini a disposizione (assenti Irving e Hayward, mai dimenticarlo). Ha coinvolto praticamente tutti, allenando benissimo. Con Quinn Snyder è il principale candidato al premio di coach of the year (che si basa però solo sulla regular season). Le due rimesse, quella sul finire di regolamentari e overtime, per Jaylen Brown e Al Horford, sono già materia di studio per appassionati e addetti ai lavori. In pieno controllo della sua squadra, dovrà a breve provare a risolvere il rompicapo LeBron James, che anche stanotte ha inferto un altro colpo durissimo alla psiche dei Toronto Raptors.