Da quindici anni, da quando è entrato nell'NBA in quel fantastico Draft del 2003, LeBron James è The Chosen One (il Prescelto, come da intuizione di Sports Illustrated) e The King, il Re. Un Re senza corona, quantomeno attualmente, perchè i titoli vinti in carriera, alla soglia dei trentaquattro anni, non corrispondono al dominio esercitato sulla pallacanestro a stelle e strisce. Sempre sotto pressione, LeBron appena subito il secondo sweep della sua storia cestistica alle Finals, contro i fantastici Golden State Warriors di Steve Kerr. Ora la sua seconda parentesi a Cleveland sembra terminata: diverse le destinazioni possibili, che diventeranno potenzialmente vincenti per il suo approdo. Eppure, se James ha vinto "solo" tre titoli in quindici anni la discriminante per il successo non è rappresentata esclusivamente dai suoi compagni di squadra. Analizziamo in profondità alcuni aspetti della carriera di James:

- Un sistema in movimento: pro e contro. Otto finali consecutive rappresentano un dato clamoroso, che mette in risalto come James abbia sbaragliato la concorrenza a Est per circa un decennio. Dagli ultimi Boston Celtics di Paul Pierce, Rajon Rondo e Kevin Garnett, agli Indiana Pacers di Frank Vogel, passando per i Toronto Raptors di Dwane Casey e ancora i Boston Celtics, nella versione giovane di Brad Stevens: tutti battuti, a volte sul filo di lana, a volte strapazzati. LeBron ha dominato sia a Miami che a Cleveland. Diversi i compagni di squadra, stesso il risultato sul fronte orientale. Perchè LBJ è un sistema di per se stesso, soprattutto offensivo, che rende una contender una media squadra di pallacanestro. I contro? L'assenza di un allenatore che possa realmente incidere e il diluvio che si scatena dopo ogni suo addio.

- Il rapporto con gli allenatori. E' probabilmente solo un luogo comune che LeBron sia un mangiaallenatori, come spesso si legge in giro. La questione è più complicata: James, che sarebbe un'arma totale in attacco, si sente una point guard (come dargli torto, date le sue clamorose qualità di passatore). Ha quindi praticamente sempre la palla in mano, ma rende le sue squadre prevedibili, anche se inarrestabili quando lui è al suo meglio. Si circonda di tiratori, in un sistema tutto suo, che basta e avanza contro le contender dell'Est, ma mostra la corda alle Finals. Due le soluzioni a questo punto della carriera: una (improbabile), farsi allenare davvero, un'altra (possibile), affiancarsi a un altro gran trattatore di palla, anche per rifiatare durante stagione e playoffs e per sperimentare giocate alternative (come le partenze in post).

- Le difficoltà ambientali. Ogni squadra di LeBron arriva generalmente a fine ciclo dopo tre o quattro anni. E' successo a Miami, dove neanche uno come Pat Riley riuscì a evitare il suo addio (rapporti logori, ha rivelato in questa stagione Dwyane Wade), capiterà con ogni probabilità tra poche settimane a Cleveland. LeBron non ha fiducia nei suoi frontoffice (l'aveva in David Griffin, ma questa è davvero un'altra storia), è in rapporti non idilliaci con il proprietario Dan Gilbert. Da un lato l'esigenza della franchigia di "sopravvivere" alla sua partenza, dall'altro il desidero di James di vincere tutto e subito, con tutto ciò che questo comporta. Kyrie Irving aveva capito tutto in largo anticipo: piuttosto che rimanere prigioniero in una Cleveland con poche prospettive (e senza LeBron) ha scelto di andar via. Ora James saluterà, come è suo diritto, ma dopo aver dato margini di operatività limitati al suo frontoffice per un quadriennio.

- Il concetto di uomo franchigia. Ecco spiegato perchè con LeBron il concetto di uomo franchigia assume un nuovo significato. Non più l'uomo che rappresenta il volto di un'organizzazione, ma la franchigia stessa. James rende le squadre in cui gioca contender da subito, ti trascina fino alle Finali, ma esclude che ci sia la possibilità di instaurare una cultura di pallacanestro complessiva, che non sia la sua. Non è solo un sistema, ma anche una dinastia ambulante. Chi lo prende sa che vincerà (o ci andrà vicino), ma anche che si spoglierà di poteri decisionali e di parte del futuro a lungo termine.

- I compagni di squadra. "Giocare con LeBron è una benedizione, ma non è così facile come si possa credere. Quando perdi, siamo noi altri quelli additati come quelli che lo hanno fatto perdere". Parole di J.R. Smith dopo gara-1 delle ultime Finals, quelle del pasticcio negli ultimi secondi dei regolamentari, della bandiera bianca sventolata in overtime e della mano rotta (per rabbia e frustrazione) da LeBron negli spogliatoi. James facilita (eufemismo) il compito dei suoi compagni di squadra, soprattutto in attacco, ma la pressione che c'è su di loro è enorme: se la squadra perde, il supporting cast è marchiato per sempre come non all'altezza.

- La legacy. Tutte queste considerazioni possono aiutare a spiegare perchè LeBron abbia vinto tre titoli su nove (anche se il fattore principale rimane lo squilibrio tra Est e Ovest) ma non intaccano quella che viene definita come la sua legacy. Che siano tre, quattro o cinque gli anelli che avrà alle dita a carriera finita, il giudizio non potrà che essere unanime. James è il miglior giocatore di questa era. Condizionante, senza dubbio (chi non lo sarebbe?), ma la più completa macchina da basket del nuovo millennio.

- Le possibili destinazioni. Impossibile fare pronostici, meglio limitarsi ai rumors che provengono dagli Stati Uniti. Improbabile una sua permanenza a Cleveland: in pressing su James ci sono i Los Angeles Lakers, i Philadelphia 76ers, gli Houston Rockets e tante altre squadre di cui sinora non si è ancora parlato (magari OKC e San Antonio, per restare a Ovest). Quel che è certo è che la nuova decision di LeBron cambierà gli equilibri della lega verosimilmente per un altro lustro.