"Questa è una grande vittoria di squadra. Saric e Bogdanovic ci hanno fatto male nel primo tempo ed è merito di tutti se nella ripresa abbiamo trovato la concentrazione giusta e li abbiamo limitati a cinque punti e poco altro". Musica e parole di Daniel Hackett, 28 anni, un passato da talento NCAA con Southern California e tante partite in Italia tra Treviso, Pesaro, Siena e Milano prima di cercare l'avventura in Grecia, sponda Olimpiakos. L'intervista è quella del post-partita contro la Croazia, in cui gli azzurri sono riusciti ad aprire un solco solo nel secondo tempo per concludere poi 67-60 alla sirena finale.

Buon impatto nel match, appunto, è stato quello di Hackett che, scelto da Messina come point guard titolare (anche se non sono mancati minuti con Belinelli in quello spot), ha ripagato in pieno il suo coach dell'investimento. Una delle chiavi della sua prestazione è stata il tiro: un buon 5/12 dal campo, in 35 minuti abbondanti - leader di squadra in entrambe le statistiche – che suggerisce varie analisi. In primis, la fiducia nei propri mezzi che ha spinto l'italo-americano a prendersi più tiri di chiunque altro, consapevole di poter essere determinante anche in una squadra che non lo vede come prima scelta in attacco. Hackett sembra aver accettato il suo ruolo da comprimario pronto però a prendersi le scene non appena ce ne sia bisogno. Esemplare è il conteggio delle conclusioni nei diversi quarti: il numero 23 ha tirato solo una volta tra il primo ed il quarto quarto, quando l'Italia ha trovato punti in Belinelli e Gallinari su tutti, mentre si è caricato la squadra sulle spalle a cavallo dell'intervallo, proprio quando i suoi compagni hanno leggermente latitato. Altra nota positiva è stata la distribuzione dei tiri: la guardia dell'Olimpiakos è riuscita ad adattarsi alla difesa croata, colpendo sia dall'arco (1/3), sia dal mid-range (1/4) che nel pitturato (3/5), letale per le sue penetrazioni. Certo, 12 punti non sono un capitale inestimabile, ma tutti i canestri sono arrivati in momenti psicologicamente ed emotivamente definiti, in quella che è stata una sentitissima gara punto a punto per 40 minuti. I tre layup nella seconda metà della seconda frazione, ad esempio, hanno tenuto gli azzurri a contatto mentre si scavallavano i trenta punti; la tripla da destra su assist di Gentile ha sigillato il primo vero allungo sul 51-43 con 1:37 sul cronometro del terzo quarto.

La vera prestazione decisiva di Hackett è stata quella nella metà campo difensiva: Messina lo ha usato spesso su uomini pericolosi come Hezonja e Bogdanovic, soprattutto dopo che quest'ultimo aveva chiuso il primo tempo con 23 punti a referto, e lui ha risposto presente. Una difesa sempre attiva, sempre intensa, con piedi mobili. Nel secondo tempo, insieme a quella di Bargnani, la figura di un Hackett quasi indemoniato, bravissimo ad allungare le mani per deviare o sporcare diversi passaggi, capace di usare bene il fisico per coprire il tiro e chiudere le linee di penetrazione, ha minato le certezze croate e ridotto la qualità della circolazione di palla degli uomini di Petrovic, quasi impauriti dalle palle perse con conseguente transizione. In più, anche quando costretto a marcare Saric o un altro lungo nel pitturato dai cambi sul pick 'n' roll, il 23 ha saputo tenere benissimo la posizione, costringendo sempre gli avversari a ricezioni scomode o poco pericolose, aiutato in questo anche da un grande Melli nei mismatch con le guardie avversarie. A referto le palle rubate dall'ex-Olimpia Milano sono due, ma i suoi tocchi ne hanno propiziate almeno il doppio, poi recuperate dai compagni o terminate in rimessa laterale. Anche a rimbalzo, l'italo-americano è stato sempre pronto a sfruttare i suoi 198 centimetri anche contro avversari di stazza maggiore: otto i palloni raccolti dal ferro, tutti in difesa, spesso ben smistati poi verso l'altro canestro in transizione.

Insomma, quello che abbiamo visto ieri è stato il Daniel Hackett che tutti vorrebbero vedere: brillante in attacco quando serve, continuo ed attivo lungo tutto il match in difesa. Il suo sguardo così cattivo ed attaccato al match è il simbolo di un'Italia che lotta, tiene, incassa bene e sa colpire nel momento e nel punto esatto. La strada è tracciata, bisogna continuare a seguirla anche in semifinale e nell'eventuale finale. Continuando a sognare Rio De Janeiro.