Una squadra in missione. Questa la sensazione che, dal primo all'ultimo secondo della seconda semifinale delle Final Four della Turkish Airlines EuroLeague, ha dato il Fenerbahce di Zelimir Obradovic, che ha letteralmente smantellato l'attacco del Real Madrid umiliando i merengues fisicamente e tatticamente. Non c'è stata quasi mai partita, dall'alba al tramonto, con i turchi apparsi decisamente più brillanti dal punto di vista fisico e soprattutto più lucidi nell'eseguire a menadito il piano partita dettato con sapienza e lungimiranza dal santone del basket europeo, che ancora una volta non sbaglia nel momento di maggior bisogno e a distanza di un anno bissa la finale di Berlino.

Dodici mesi dopo, i turchi rispondono ancora una volta presente, con rinnovata fame e voglia di riprendersi ciò che è sfuggito per pochi attimi in Germania. Probabilmente un anno fa la squadra a disposizione di Obradovic non era ancora così matura, così consapevole delle proprie possibilità, così compatta, coesa. La prestazione di ieri, invece, ha dimostrato l'opposto, sublimazione del concetto del giocare assieme, come un blocco unico, granitico, di sacrificarsi l'uno con l'altro in nome dell'obiettivo, la vittoria. Successo arrivato al termine di quaranta minuti - forse trentasette o trentotto - di rara intensità, di clamorosa pallacanestro che per stessa ammissione del tecnico slavo, si avvicina moltissimo alla perfezione.

Dal primo secondo di gioco l'idea del Fenerbahce è stata quella di aggredire fisicamente gli avversari, in primis il pick&roll di Llull con Gustavo Ayon. La bravura della difesa turca è stata quella di non concentrarsi solo ed esclusivamente sul numero 23 del Real Madrid, lasciandogli fare il suo gioco, spesso in solitaria, ma tenendo a bada tutti gli altri interpreti dell'attacco madrileno, che raramente sono entrati in partita e soprattutto in ritmo. Asfissiati e frustrati i vantaggi con dei cambi difensivi con intensità selvaggia, la chiave del match è apparsa subito chiara: la sfrenata fisicità di Udoh e Vesely, con il secondo che spesso è uscito ben oltre la sua linea di competenza per rallentare il flusso e la circolazione della palla, ha permesso al primo di prendere il tempo degli aiuti in area, culminati spesso nei primi cinque minuti con due stoppate che hanno immediatamente dato energia ed entusiasmo ai turchi.

Il parziale con il quale il Fenerbahce è subito scappato via nel punteggio è stato la conseguenza di tale atteggiamento. Dalla difesa nasce l'attacco, nascono le transizioni, nasce la fiducia che consente a Dixon e Bogdanovic - pressati ma invano dalla difesa dei merengues - per aprire il gioco sul perimetro per un Kalinic impressionante per continuità di rendimento al tiro e soprattutto sotto canestro per gli stessi lunghi che hanno spesso trovato strada indisturbata verso il canestro. La disponibilità al sacrificio ed alle rotazioni della difesa turca non ha trovato risposta dalla parte opposta, nella metà campo difensiva iberica, dove la mancanza di convinzione da parte dei ragazzi di Laso ha fatto spesso la differenza. Non sono bastate le scorribande di Llull (16 dei 26 punti dei blancos suoi a metà secondo quarto), unico baluardo in un primo tempo a dir poco scialbo da parte di tutto il Real Madrid, a tenere a galla la testa di serie numero uno di queste Final Four.

Una schiacciata di Udoh, in reverse, nel nulla della difesa del Real Madrid - Foto EuroLeague
Una schiacciata di Udoh, in reverse, nel nulla della difesa del Real Madrid - Foto EuroLeague

Il play tuttofare di Laso ha pagato l'eccessivo sforzo fisico e mentale nel corso della gara, lasciando progressivamente l'incontro e la leadership tecnica della sua squadra. A Llull, nel secondo tempo, ha provato a dare il cambio nella ripresa Jaycee Carroll, con una serie di tre triple di fila che non ha però cambiato l'inerzia della gara, sempre saldamente in mano al Fenerbahce, abile nei momenti negativi - due, di un paio di minuti al massimo - nel contenere il passivo e non farsi prendere in attacco dalla frenesia del momento. Ai canestri di Vesely nel primo tempo e di Sloukas nel secondo, decisivi per contenere la sfuriata dei merengues, si è aggiunta la clamorosa prestazione difensiva di Bogdanovic e soprattutto di Kalinic, uomini ovunque capaci di togliere in corso d'opera dai meccanismi dell'attacco spagnolo prima uno stremato Llull, poi uno straripante Carroll. Due anticipi di fila del mascellone serbo hanno dato nuova linfa ai turchi, che di lì a poco, grazie anche al ritrovato apporto offensivo di Datome - una decina di punti in un amen - sono riusciti a chiudere la contesa archiviando l'accesso alla finale di domenica.

Stavolta, in finale, non ci sarà il Cska Mosca della passata edizione, ma soprattutto ci sarà un Fenerbahce decisamente diverso, cambiato non negli interpreti - tutti sono gli stessi che hanno perso la finale un anno fa - ma nella propria testa, estremamente più maturo e consapevole dei propri mezzi. Un anno in più insieme ha permesso al gruppo di cementificarsi ulteriormente, di crescere nelle difficoltà e nel ricordo di una delusione, trasformatasi in energia positiva da mettere in campo, al momento giusto. Ieri sera, così come domenica, la squadra turca allenata da Obradovic ha colto l'attimo, ha preso in mano il proprio destino, avvicinandosi sempre più a quello che sembra il giusto e meritato coronamento di un percorso iniziato tre anni fa.