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NBA: cosa succede in città

Le ultime dal mondo Nba. Lo status delle squadre, le dichiarazioni dei protagonisti, gli ipotetici scenari di mercato avallati dai primi rumors. Ecco la seconda puntata della nostra rubrica.

NBA: cosa succede in città
Oakland pazza di gioia per il suo Steph Curry. Giocatore del mese della Western Conference
matteopitotti
Di Matteo Pitotti

Appena un mese dall'inizio del campionato e l' Nba ha già dato numerosi spunti di riflessioni sul quale discutere. Proviamo a vedere cosa è successo nel campionato più spettacolare del mondo, analizzando le squadre più in voga nell'ultima settimana.

BROOKLYN NETS

Anno nuovo, Brooklyn nuova. Ad essere precisi rimaneggiata è il termine più appropriato, per raccontare la transizione della franchigia dell’ Atlantic Division. Una stagione fa i bianconeri partivano per la missione anello, spinti da due giocatori che di Larry O’Brien Trophy ne sapevano già qualcosa e guidati da un neo allenatore come Jason Kidd che la piazza aveva imparato ad amare da giocatore. Come sia andata a finire è noto alle cronache. Playoff agguantati con relativa tranquillità dopo una brillante seconda parte di stagione e conseguente eliminazione al secondo turno con gli Heat. La offseason ha regalato ai Nets tempo per meditare e riflettere sugli errori commessi e su quelli da evitare in futuro. Il numero uno della franchigia Mikhail Prokhorov lo ha capito, dando il via libera ad un restyling societario responsabile. Sgonfiato il monte ingaggi della squadra, chiuso il rapporto con la stella Paul Pierce e affidata la panchina a Lionel Hollins, Brooklyn sembra aver captato quale sia la sua strada. Il titolo è un traguardo che fa gola, ma è doveroso attrezzarsi con logica e darsi del tempo, se si vuole compiere da protagonista il tortuoso cammino che vale un anello. I Brooklyn targati 2014/2015 sono una squadra più operaia che altizzosa, meno idealista e più razionale. I newyorkesi hanno soprattutto trovato dei riferimenti venuti a mancare nell’era Kidd. Deron Williams ne è la prova. Il playmaker della squadra grazie al nuovo gioco sta riemergendo dalle paludi nella quale aveva abitato nel 2013/2014. Nel quintetto base nel quale tutti si trovano in doppia cifra alla voce punti, l’ex Utah ha una percentuale di tiro che si avvicina al 45.0 %, brilla nel tiro da tre e soprattutto ha ritrovato quelle doti da passatore che gli competono. A piccoli passi, i vecchi New Jersey stanno intraprendendo un processo di crescita che se li dovesse escludere per motivi tecnici e concorrenziali dalla prossima fase calda dei playoff, fornisce nel frattempo elementi funzionali al loro piano di maturazione. Che il progetto dello scorso anno sia naufragato lo testimonia anche l’attuale status di Andreij Kirilenko. Arrivato con grandi aspettative dai TWolves, ora il cestista russo è ai margini della squadra. Ad una prima esclusione da parte di coach Hollins sono seguiti problemi familiari che lo hanno costretto ad allontanarsi per un periodo dalla squadra. “ So bene della mia situazione, ma io sono un giocatore dei Nets. – ha riferito il russo – La società sa del mio momento, conosce le mie problematiche. “ Il GM Billy King intanto, non ha escluso la possibilità di una trade che faccia partire il cestista.

DETROIT PISTONS

“E’ arrivato il tempo di prendersi delle responsabilità, perché abbiamo dei problemi evidenti. Siamo tutti colpevoli e so benissimo che anche il sottoscritto deve certamente migliorare nel suo lavoro. Il nostro gioco è lontano da quanto vorrei vedere. Siamo confusionari, poco lucidi. Dobbiamo crescere dal punto di vista fisico. Non punto il dito sui miei ragazzi, loro sanno come la penso, abbiamo un rapporto civile. Non li reputo pigri o indisciplinati. Ma serve una svolta." Stan Van Gundy alla fine non ha retto. L’allenatore/general manager della California è il primo indiziato per la crisi dei Detroit Pistons. La franchigia della Motor City non vince dal 14 novembre, dalla sfida esterna contro gli Oklahoma City Thunder. Da lì in poi, una disonorevole serie di ko consecutivi, giunti alla prima decina. Senza segni di ripresa, senza alcun progresso soprattutto sul piano dell’atteggiamento. L’ex tecnico dei Miami Heat, probabilmente tratto in tentazione dal nervosismo e dalla forte pressione mediatica, davanti l’ennesima debacle giunta contro i Lakers (la nona sconfitta) si è sfogato come poteva davanti ai taccuini dei cronisti. Le parole esaltanti pronunciate ad inizio mandato si sono tramutate in una sorta di autodenuncia per una squadra poco presente sul campo, alquanto rinunciataria, incapace di esprimersi come vorrebbe il proprio tecnico. Non erano certamente questi i risultati di cui Van Gundy, parlava nei giorni successivi al suo insediamento. Alle evidenti lacune tattiche e psicologiche, si aggiunge una buona dose di malasorte. Perché Jodie Meeks, arrivato in pompa magna dalla scuderia di Kobe Bryant, non ha ancora esordito con la maglia dei Pistons, per colpa di un fastidioso problema alla schiena che lo attanaglia da metà ottobre. Stop che non ha fatto altro che alimentare le critiche verso la società ed il suo factotum, accusati di aver lavorato sul mercato con poco ordine. Nel momento no di Detroit, Gigi Datome veste i panni dell’attore non protagonista e non sappiamo fino a che punto questo possa essere un bene. L’ala azzurra infatti, non riesce a ritagliarsi lo giusto spazio nemmeno in questa stagione, in concomitanza con qualche problemino fisico. Se con Maurice Cheeks era utilizzato con il contagocce, con Van Gundy le occasioni di scendere sul parquet fin qui sono state irrisorie. Appena 12 minuti con a referto 7 punti contro i Lakers, e nulla più. Tante panchine ed un ruolo da spettatore non pagante che in una squadra così in crisi rende la sua situazione ancora più paradossale.

GOLDEN STATE WARRIORS

Quando la dirigenza dei Warriors ha deciso di rompere i rapporti con Mark Jackson lo scorso anno, la notizia ci aveva lasciato perplessi. Non tanto per la dinamica, visto che già nel mese di marzo si vociferava di un possibile divorzio tra le parti dovuto soprattutto al brutto rapporto tra il tecnico di New York e lo staff. Quanto perché l’operato del coach nei suoi tre anni ad Oakland non era sembrato tale da causare la fine delle collaborazioni. Grazie a Jackson, i Warriors nel 2013 erano tornati a giocare la postseason e si erano guadagnati un posto al sole nella Western Conference. Non dello stesso avviso la società che ha scelto di non rinnovare la fiducia all’ex play di Indiana, aprendo le porte ad un altro coach-rookie: Steve Kerr. Una scelta che a distanza di tempo si è rivelata azzeccata. L’ex giocatore di Chicago e San Antonio che, Phil Jackson desiderava enormemente inserire nel suo piano Knicks, guida la capolista della Western Conference divertendosi e facendo divertire. I Warriors, che in estate avevano chiesto informazioni su Kevin Love, strappano applausi e vincono con il meglio che offre la casa. Gli Splash Brothers: Klay Thompson e Steph Curry, patrimonio della franchigia, continuano ad intendersi a meraviglia, sfornando senza pausa prestazioni degne della loro fama. Il loro feeling con il tiro dalla campana è oramai cosa nota. Per la gioia dei loro tifosi, che da tempo non vedevano un team così autorevole e sicuro dei propri mezzi. Talento dunque che si amalgama vivacemente con un frontcourt di tutto rispetto con: Andrew Bogut, Harrison Barnes e Draymond Green. Senza dimenticare l’efficienza della panchina: Andre Iguodala, Mareese Speights e Shaun Livingston. “I motivi del nostro successo? Abbiamo giocatori di grande spessore, in grado di riempire bene gli spazi. Questa squadra lavora bene in difesa, ma senza dimenticare di essere pericolosa. – ha affermato coach Kerr durante una recente intervista – Essere bravi in entrambi le fasi è raro, ma con noi ci sono ragazzi versatili, in grado di adeguarsi alle varie necessità."

MEMPHIS GRIZZLIES

I Memphis Grizzlies sono certamente tra le novità più belle di questo inizio di season. Anzi, ad essere sinceri definirli novità non è neanche troppo corretto. Perché la squadra del Tennessee non è semplicemente esplosa quest’anno, piuttosto si ripresenta come un gruppo brillante dotato di un’ossatura e grande organizzazione, caratteristiche tipiche delle partecipanti all’agguerrita Southwest Division. Il mercato estivo non ha rivoluzionato il roster. La firma sul rinnovo di Vince Carter ha confermato la vantaggiosa presenza di un uomo di grande esperienza. Riferimento utile e funzionale,soprattutto per una squadra che punta ad una crescita a tutto tondo. Crescita, che a Memphis vede il contributo del collettivo squadra. Dai senatori Zach Randolph, Mike Conley e Tony Allen e dei volti nuovi come Courtney Lee. Senza dimenticare Marc Gasol. Giocatore nato e maturato all’ombra del FedEx Forum, sempre più padrone del campo, sempre più protagonista del momento positivo dei Grizzlies. Letale in attacco e prezioso in difesa. Quel reparto, il secondo migliore della Lega, che rende orgoglioso David Joerger, anche lui da lunga data presente nel quartier generale di Memphis, che ha avuto il merito di farsi trovare pronto quando chiamato ad interpretare il ruolo principale della panchina. Al di là dell’andamento stagionale, l’organizzazione degli Orsi sarà spesso messo alla prova dai rumors e delle voci di mercato. La punta di diamante del team, Marc Gasol, sarà infatti nell’estate 2015 un unrestricted costless agent. “Il mio futuro? Stiamo parlando di una decisione importante per la mia carriera. Sarà meglio parlarne quando sarà finita la stagione, c’è ancora molto tempo. – ha dichiarato il cestista catalano alla stampa aggiungendo che – I fattori che entrano in gioco nella mia scelta di restare sono diversi. Ma prima di tutto conterà la voglia di vincere, la filosofia che vorrà in futuro adottare il club. E’ una questione di stimoli di maggiore voglia di prevalere." E le possibili offerte di Lakers e Knicks? Non chiedetelo ai suoi compagni, che sperano di poterlo ritrovare nello spogliatoio Grizzlies anche il prossimo anno, su tutti Z-Bo. “E’ uno dei migliori in circolazione, ha dei colpi incredibili. Per me è anche meglio di Dwight Howard, sono convinto rimanga qui." Aria di soap opera in Tennessee.

NEW YORK KNICKS

Se avessimo la possibilità di passare davanti allo spogliatoio dei New York Knicks molto probabilmente troveremmo un cartello con su scritto: “Stiamo lavorando per voi". Perché dalle parti della franchigia arancioblu, c’è grande voglia di riportare il basket della Grande Mela ai livelli che furono. Se lo augura Mr. Dolan, il boss del club che ha convinto Phil Jackson ad intraprendere la carriera di Presidente e lo spera lo stesso Coach Zen, che nel nuovo corso del team della Eastern Conference ha riposto tutta la sua fiducia nei confronti del suo fedele Derek Fisher. L’obiettivo è riportare New York a toccare il cielo con un dito, trasformandola innanzitutto da una piazza di media classifica ad un vero e proprio centro di appetibilità. Buone le idee, brillanti le intenzioni, ma per adesso i Knicks con il quale convivere sono altri. Dalle parti del Madison Square Garden c’è molto da lavorare, perché gli arancioblu fanno fatica ad uscire fuori da una condizione di palese mediocrità. Il primo mese della stagione è stato da incubo, con tredici sconfitte in sedici partite ed una serie negativa di sette capitolazioni consecutive. Difficoltà nell’assimilare i concetti impartiti dal nuovo tecnico, ed un roster che al di là di Melo e Josè Calderon non consente di poter guardare molto lontano, i motivi principali di una partenza così deludente. In questo clima così desolante, Andrea Bargnani rimane il punto interrogativo. Il cestista romano, sulla carta tra le pedine offensive più letali per il gioco di Fisher, non ha ancora messo piede sul parquet a causa degli onnipresenti infortuni. Superati i problemi al gomito del primo anno da newyorkese, Bargnani si è ritrovato di nuovo in infermeria per problemi al bicipite femorale prima ed al polpaccio poi. Stop che ne stanno compromettendo la stagione, non consentendogli di esprimere quanto fatto vedere nel corso della preseason, quando sia Calderon suo ex compagno di Toronto, ma soprattutto il nuovo tecnico erano rimasti piacevolmente sorpresi dal suo impatto nella nuova filosofia cestistica. Intanto in soccorso ad una tifoseria comprensibilmente delusa, ci sono le parole che Carmelo Anthony ha espresso in un’intervista per un documentario dedicato alla sua recente offseason da costless agent. “Ho scelto di rimanere a New York perché ho capito dove fosse il mio posto. Chicago mi aveva affascinato, aveva un progetto piuttosto intrigante. Mi hanno fatto capire che erano fortemente interessati a me – ha confessato Melo in “Carmelo Anthony: Made in New York “ – Ma io non mi sentivo abbastanza pronto. Non è stata una decisione facile, ma alla fine ho seguito il cuore." Beati quelli che non amano…