Si gioca tutti i giorni, questo potrebbe farla sembrare monotona, piatta ed univoca ma puntualmente veniamo smentiti. “Colpa” di una Nba che invece produce divertimento ed appassiona con il suo spettacolo, i suoi funamboli ed il suo gioco spesso poco condiviso dalle nostre parti, ma mai banale. Un mondo colorato, ricco di talento e dotato di una forza trainante senza eguali nel panorama sportivo mondiale. Eccoci ancora una volta a vivere insieme le avventure settimanali dei parquet oltre oceanici. Come la nostra tradizione richiede.

BROOKLYN NETS

Se desiderate un incontro con il Gm dei Nets, Billy King, vi conviene armarvi di santa pazienza ed aspettare. Brooklyn, in barba ai rumors e alle speculazioni di mercato che spesso in questo periodo iniziano a circolare, ha già cominciato a muoversi operando su trade non proprio di contorno. Come anticipatovi la settimana scorsa, la squadra bianconera era alle prese con la faccenda Kirilenko. Il russo fuori dalle gerarchie di coach Hollins e lontano dai campi anche per questioni personali spiccava nella lista dei possibili uscenti. Così poi è andata finire. Perché dopo giorni di trattazioni neanche troppo difficoltose, Prokhorov ha lasciato partire il suo connazionale direzione Philadelphia. In Pennsylvania, oltre al cestista ex CSKA Mosca, è andata la guardia Jorge Gutierrez insieme ad un contributo economico, alla seconda scelta al Draft 2020 ed al diritto di scambiare le scelte al secondo turno del 2018 con gli stessi bianconeri. Per due giocatori in uscita ce n’è stato uno che ha percorso il sentiero inverso, ossia: Brandon Davies. L’ala ha firmato un contratto non garantito e sarà un osservato speciale sul quale Lionel Hollins scioglierà le sue riserve solo dopo un periodo di prova. L’ addio a Kirilenko, ha un notevole peso soprattutto sulle tasche del club newyorkese. Divorziando dall’atleta russo, i Nets infatti hanno visto decrescere il loro monte ingaggi di circa 11 milioni di dollari. Una cifra ragguardevole che consente di guardare con maggiore euforia al mercato in entrata. “ Non stiamo andando come vogliamo – ammette Billy King – ma non abbiamo intenzione di piangerci addosso. Lavoro con i miei collaboratori per consegnare alla squadra un futuro migliore. “ Dichiarazioni che lasciano intendere qualche movimento in entrata e che gli addetti al mercato indicano nella figura di Lance Stephenson. Effettivamente la guardia non sta vivendo a Charlotte l’occasione che sognava. Arrivato in offseason nella scuderia di Michael Jordan con l’etichetta di valore aggiunto in grado di accrescere il livello tecnico della squadra, il suo periodo di ambientamento si sta rivelando più complicato del previsto. Le prestazioni ci sono, ma se gli Hornets si aspettavano un elemento grazie al quale raggiungere le zone alte della Conference, Stephenson dal canto suo immaginava un’altra realtà, più matura ed armata per lottare con Cavs e co. Le principali agenzie d’informazione sportiva statunitense parlano di un reale interesse Nets per il giocatore nativo di Brooklyn che ancora però non trova riscontri sul piano pratico. Joe Johnson e Brook Lopez ancora una volta ai box per problemi lombari potrebbero essere gli uomini che i bianconeri sarebbero disposti a mettere sul piatto, ma ci vorrà un po’ di pazienza prima che le parti si accordino, anche perché sul cestista ci sono anche i suoi vecchi Pacers. L’operazione potrebbe subire un’accelerata nelle prossime ore, magari proprio mentre questo pezzo è in fase di pubblicazione. Per la gioia di Stephenson, che tornerebbe a casa e dei Nets a questo punto arricchiti da una figura molto più che interessante.

DENVER NUGGETS

“ Perché gioco poco? La decisione spetta al coach. Mi impegno al massimo, ma dipende da lui e temo che la situazione non abbia grossi margini di cambiamento. “ Danilo Gallinari ha lanciato il sasso nello stagno, aspettando di vedere se i soliti cerchi concentrici riescano a smuovere il paludoso acquitrino nel quale si trova isolato. Il Gallo fa grande fatica a trovare spazio nelle rotazioni di Brian Shaw ed ha approfittato di un’intervista con Gazzetta.it per esternare i suoi dubbi e problematiche in merito alla situazione che vive ai Nuggets. “ Il mio ginocchio è a posto, non ho più limitazioni per quanto riguarda il minutaggio. Se vengo utilizzato in maniera ridotta è per ragioni tecniche. Mi ritengo un giocatore versatile e non avrei alcun problema ad adattarmi. Il fatto è che non abbiamo ancora una linea di guida precisa. Il tecnico cambia spesso modulo, non siamo ancora organizzati. “ L’ex Olimpia Milano, tornato all’attività dopo un anno di stop ed ora fermo per un iperestensione al ginocchio sinistro, ha messo in cascina una media di appena 17.8 minuti a partita, segno inequivocabile di una scarsa considerazione da parte della panchina. “ Rivedo spesso le mie partite al video, so che devo migliorare, ma per quanto gioco faccio meglio dei miei compagni che sono in campo più di me. Come posso uscirne? Solo dandomi da fare. Sto lavorando al massimo. “ Modus operandi che dovrebbe far suo l’intera organizzazione, partita ad inizio anno con l’intenzione di rientrare nella sfera delle prime di Ovest, dopo il fallimento stagionale 2013/2014. Denver assomiglia ad un cantiere aperto, contraddistinto da tante idee (forse troppe?), poca sostanza ed un organico meno brioso rispetto a quello delle sue colleghe di Conference. “ La posizione del tecnico? Non siamo dove ci si aspettava – ha continuato Gallinari – se poi ci mettiamo che non giochiamo ad Est, la risalita si fa più dura. “ Mai come da queste parti l’infermeria testimonia le frustrazioni della franchigia, con Nate Robinson e JaVale McGee capi delle delegazione Nuggets alle prese con difficoltà fisiche. “ Mi dispiace non poter essere d’aiuto alla mia squadra. Sono il primo a starci male – ha recentemente confessato l’ex Chicago - Ho avuto problemi con il ginocchio, ora a darmi problemi è la schiena. Odio essere fuori, è normale, non mi piace. Ho tanta fame, ma prima di tutto devo pensare alla salute. Lavoro giorno per giorno con la speranza di rientrare il prima possibile. “ Cambia la patologia e la vittima ma l’insoddisfazione si rintraccia anche nelle parole di McGee, alle prese con i postumi dell’operazione alla tibia sinistra: “ So quanto valgo, conosco il mio valore e questa situazione mi dà fastidio “. Il centro che non gioca dal 5 dicembre, percepisce un contratto da 11 milioni di dollari a salire che fin qui non ha trovato riscontri nell’effettivo contributo sul campo. Appena cinque gettoni presenza lo scorso anno ed un’ ottimale condizione ad oggi ancora lontana dal pieno raggiungimento, costringono la dirigenza capitanata da Tim Connelly a rivedere i piani del futuro per evitare altri passi falsi. Nel frattempo i vertici societari, devono vedersela anche con le offerte di mercato che hanno parlato di un forte interesse dei Cleveland Cavaliers nei confronti di Timofey Mozgov, cestista russo che con una paga ben inferiore a quella riservata a McGee ne ha preso il posto sul parquet. Secondo fonti ben informate, la squadra di Dan Gilbert avrebbe tentato di intavolare una trattativa per il centro, subito però rifiutata dalla franchigia del Colorado.

HOUSTON ROCKETS

Si faccia avanti chi credeva che i Rockets, passata l’estate, si sarebbero rimessi in pista a questi livelli. Usciti dal mercato con il cappello da asino, i texani non si sono persi d’animo sfruttando al massimo le qualità del loro roster. Non è arrivato Bosh da Miami, Chandler Parsons si è infilato nel progetto dei cugini di Division dei Mavericks, ma l’approdo di Trevor Ariza è bastato per rendere questa squadra più quadrata e composta. Dimenticate la Houston “Diavolo della Tanzania” in attacco con triple cifre di punti come se piovesse, perché i razzi biancorossi sono ora squadra più prudente e coperta. Inversione di marcia che fa storcere il naso, in una Lega che fa dello spettacolo il suo pane quotidiano. Soprattutto se parliamo di una squadra guidata da un tecnico notoriamente incline al gioco spumeggiante ed improntato all’attacco. La nuova vita di Houston ricomincia da una maggiore attenzione sul piano arretrato in grado di funzionare nonostante i tormenti fisici di Dwight Howard centro per eccellenza: più Dr. Octopus che Superman - come sono soliti chiamarlo oltreoceano – vista la sua risaputa abilità a rimbalzo. Il gigante di Philadelphia è rimasto a lungo fuori dalle rotazioni per colpa di un problema al ginocchio, superato dopo undici turni di latitanza e sacrificio. “ Finalmente ce l’ho fatta – ha riferito il giocatore alla vigilia del rientro con Denver – A nessuna piace stare a guardare. La cosa più importante è poter rientrare. “ Insieme a James Harden, costituisce l’ossatura del quintetto. Ciò però non significa che tra i due vi debba essere un rapporto di totale simbiosi. Il Barba dal periodo ai box di Howard non ne è uscito ridimensionato, semmai accresciuto per capacità offensive, di passatore e a rimbalzo. I quarantaquattro punti con la quale l’ex Oklahoma ha timbrato la vittoria dei Rockets sui Kings ne sono la prova più evidente, seguita dal premio di miglior giocatore settimanale di Ovest. I meriti del periodo di Houston vanno altresì distribuiti sugli altri perni della banda McHale. Tarik Black, Patrick Beverley così come il lituano Motiejunas fanno meno rumore mediatico ma riescono a dare il loro contributo per la causa. Se il presente rende fiduciosi, il futuro diventa ancora più stimolante grazie alla liquidità racimolata dalla società grazie alla sfratto di Jeremy Lin. Nomi ancora poco certi, ma la volontà è di puntellare il frontcourt. Magari con un’ala che alzi la percentuale al tiro. Partire dall’ attenzione difensiva per risalire le gerarchie offensive del Campionato. Davvero una bella storia texana

INDIANA PACERS

“ Era già tutto previsto “ cantava Riccardo Cocciante in un suo brano di grande successo negli anni '70. E riflettendo sulle strategie in offseason dei Pacers, questa canzone si cala perfettamente con il momento attuale. Dai piani alti della Conference alle zone che sanno di piani fallimentari. Indiana ha visto cambiare la sua esistenza in meno di anno. Pochi elogi e tanto lavoro al cospetto del tecnico Frank Vogel, rimasto orfano di giocatori che nel recente passato avevano accompagnato Indiana verso un futuro che valeva la pena essere vissuto. Quello di Indianapolis è uno dei peggiori attacchi della Lega che patisce in modo evidente l’assenza di Paul George, terminale offensivo della squadre per eccellenza, ancora lontano dal recupero per la frattura della tibia. Un grave limite a livello di organico che si manifesta anche in difesa, da sempre punto di forza del gioco di Frank Vogel, sofferente per la mancanza in mezzo al campo sia del numero 24 che di un valido rimpiazzo capace di vestirne i panni. Senza dimenticare l’altro indisponibile di lusso: George Hill e la mancata sostituzione di Stephenson, sul quale adesso il GM Kevin Pritchard, sembra aver rimesso gli occhi. C.J. Miles giunto da Cleveland con slancio esagerato, non può certo essere l’uomo della provvidenza e l’infermeria continua a mietere vittime con il ko del francese Mahinmi per una fascite plantare. Vogel sa che il destino che attende il suo team non sarà più roseo come prima. Conosce le difficoltà e le vive sulla propria pelle con profonde lacune nella formulazione del quintetto titolare. Rivoluzionato ben sei volte dall’inizio della stagione, indicatore di un problema d’identità riconosciuto dallo stesso coach: “ Lavoriamo giorno per giorno. Trovare una stabilità nelle rotazioni è alle fondamenta di qualsiasi squadra. Non credo che ci saranno altri cambiamenti nell’imminente futuro. “ Se non sui titolari, i tifosi si augurano almeno nei risultati. Lo scorso anno, la stagione Pacers cominciò con uno sprint di nove vittorie di fila, quest’anno in poco più di venti gare la franchigia di Herb Simon ha collezionato due strisce negative rispettivamente di sei e nove incontri. Lontana la febbre da titolo e l’antagonismo vissuto con Miami. Senza un briciolo di motivazione ed una struttura solida, raggiungere i playoff nonostante si giochi ad Est appare complicato ma soprattutto irreale. Invertire una rotta che appare già tracciata assomiglia davvero ad un’impresa.

LOS ANGELES CLIPPERS

Il centro della Western Conference, la squadra-tipo che sta facendo parlare di sé per sostanza, gioco ed intensità è in California. Ma al contrario di quanto si potesse inizialmente immaginare non è di stanza nella città degli Angeli. Sono 553 i Km che separano Oakland, patria dei Golden State Warriors attuali dominatori, della scena da Los Angeles. Città chiaramente non solo a caratteri gialloviola. Una distanza, stradario alla mano, che nel contesto statunitense non è di certo proibitiva nè sorprendente come quella che intercorre tra i rispettivi team sul parquet del basket Nba. Perché se i Lakers puntano ad un campionato meno traumatico possibile, i Clippers potrebbero viverlo con altro piglio rispetto a quello odierno. Mantenere la scia della truppa di Kerr non è cosa semplice, soprattutto se parliamo di Ovest, ma dal gruppo con a capo Steve Ballmer ci si aspetta sempre qualcosa in più. Vuoi la presenza del duo PaulGriffin, con quest’ultimo nominato giocatore Conference la scorsa settimana, vuoi perché un allenatore come Doc Rivers fa rima con saggezza e responsabilità, di conseguenza con risultati. Arrivati questi, in maniera vigorosa dopo un inizio a singhiozzo. La serie di otto vittorie consecutive ha riacceso le luci sulla franchigia, cambiata nell’ offseason più in panchina che sul quintetto base, che punta a rinnovarsi ancora. Per salire di livello, il tecnico di Chicago è convinto serva un team ben assortito, un mix tra talento ed esperienza magari con l’inserimento di qualche elemento dotato di entrambe le caratteristiche e possibilmente già allenato in passato. L’identikit descritto porta a Ray Allen, ed i Clippers non fanno nulla per nasconderlo. L’interesse per la guardia, costless agent per scelta propria, è stato reso noto negli ultimi giorni: “Allen non ha bisogno di presentazioni, lo vogliamo in tanti ed il motivo è chiaro a tutti – ha detto Rivers recentemente – Penso prenda una decisione nelle prossime due o tre settimane. Magari ne sapremo qualcosa di più dopo le Feste. Prima donna? Fa bene a guardarsi intorno, ha questa possibilità ed è giusto che ne approfitti.“ Effettivamente l’elenco dei team interessati all’ex Miami conta parecchi pretendenti: Grizzlies, Spurs, Wizards, Cavaliers, Warriors ed infine i Clippers. Candyman ha l’imbarazzo della scelta, a bussare alla sua porta c’è il top della National Basketball Association. Istintivamente, la fazione di Los Angeles sembra la più quotata per il trasferimento del cestista. All’ombra dello Staples Center, Allen ritroverebbe il coach con il quale ha vinto e scritto pagine importanti ai tempi di Boston. Soprattutto una squadra nella quale avrebbe grossa considerazione, che non ha mai abbassato il grado di interesse nei suoi confronti, vivo (con quello di Cleveland) già a partire dal finale della scorsa stagione. Qualora Allen seguisse le sensazioni di Rivers, muovendosi solo ad anno nuovo, ad avere peso sulla scelta sarà principalmente la distanza presente tra gli obiettivi prefissati ad inizio anno e le strade concretamente intraprese. I Clippers hanno un motivo in più per crescere in fretta.