"Perdere fa sempre male. Che avvenga a Miami, a Cleveland o su Marte non c'è differenza". Pensieri e parole di LeBron James che, nella conferenza stampa successiva a gara-6, non si è nascosto dietro scuse o alibi (in realtà ve ne sarebbero in abbondanza) per giustificare la sconfitta nelle Nba Finals contro i Golden State Warriors. Dopo aver sottolineato come fosse difficile per i suoi Cavs ottenere più di quanto raccolto nella post-season, the King non ha nascosto tutta la sua delusione per l'ennesima serie finale persa, la quarta in sei apparizioni all'ultimo atto della stagione Nba.

Mai come in questi playoff James si è ritrovato solo, consapevole di essere "il più forte giocatore al mondo", come lui stesso ha dichiarato di sentirsi, senza che nessuno potesse obiettare alcunchè al riguardo. Solo da un punto di vista tecnico, leader di un gruppo privo del talento necessario a supportarlo. E solo da un punto di vista psicologico, con le sorti di un'intera franchigia - e forse anche di un'intera città - sulle sue poderose spalle. E' il tempo di vincere - si sarà detto LeBron - alla vigilia delle Finals. Dopo la cocente sconfitta dei suoi Miami Heat contro i San Antonio Spurs di dodici mesi orsono, la decision 2.0 di tornare a casa, là dove tutto ha avuto inizio, ha risposto a logiche non solo affettive e di cuore, ma soprattutto di competitività, una volta preso atto che il ciclo degli Heat era in fase discendente.

"Vincere non è la cosa più importante, è l'unica cosa conta", direbbero dalle parti dei Green Bay Packers in Nfl. Per James vale il medesimo assunto, tanto più che il suo score alle Finals segna al momento due vittorie e quattro sconfitte, troppe per un fenomeno che sta marcando un'era nel basket americano. Se è vero che la caduta contro i Warriors nulla leva al valore di LeBron, e anzi ne rende l'immagine ancora più forte, in virtù di una ormai raggiunta piena maturità mentale oltre che tecnica, è comunque indubbio che per James l'obiettivo rimanga sempre il Larry O'Brien Trophy, e che una stagione chiusa senza titolo non può mai ritenerlo pienamente soddisfatto. Attualmente il Prescelto è l'uomo su cui ruota l'intero mondo Nba, il punto di riferimento costante di un panorama cestistico sempre più globale, su cui si catalizza tutta l'attenzione dei media. I numeri televisivi delle ultime Finals testimoniano la centralità di James: mai, nell'era post Michael Jordan, la serie di finale Nba aveva raggiunto dati di ascolto così alti, assestandosi su una media di venti milioni di telespettatori, per la felicità di network e sponsor.

Secondo quanto riportato da Brian Windhorst di Espn, sempre attento nel monitorare gli umori in casa Cleveland, i Cavs si attendono ora da LeBron un contributo anche in sede di costruzione della nuova squadra. Un'estate di lavoro supplementare dunque per James, che il general manager David Griffin vorrebbe coinvolgere il più possibile nelle scelte che dovranno essere prese nelle prossime settimane dal front office di Cleveland. Il destino di Kevin Love e Jr Smith, che tuttavia non dovrebbero esercitare l'opzione di uscire dal contratto per diventare free agents, dipende ora anche dall'opinione di LBJ, con cui Griffin e il proprietario Gilbert si manterranno in contatto costante, allo scopo di costruire una squadra il più possibile funzionale alle esigenze del loro leader.

Oneri e onori, dunque, per il numero uno al mondo. E chissà quale sarà la scelta dei Cavs in ordine alla posizione dell'allenatore, quel David Blatt tanto criticato da stampa e addetti ai lavori, il cui futuro si preannuncia quantomeno nebuloso, all'interno di una franchigia in cui si sta pensando di dare carta bianca a James su parte degli aspetti tecnici, rendendolo sempre più centrale nei rapporti interni, in un contesto dove non sono più solo le sue gigantografie sui palazzi della città a renderne evidente l'imprescindibilità.