La recente offseason di DeAndre Jordan è stata cadenzata dalla tempistica. Anche per dire la sua e svuotare il sacco dopo il celebre dietrofront di mercato; il centro ha voluto aspettare il momento della quiete. La fase susseguente la proverbiale tempesta che tutto stravolge e niente risparmia. Passata la burrasca è arrivato il momento di rimettere a posto il villaggio, dare la propria versione dei fatti per spiegare al mondo del basket intero, cosa lo abbia spinto a bloccare in extremis il suo trasferimento, praticamente definito e privo della sola firma, con i Dallas Mavericks. Jordan, si è affidato al sito "The Players Tribune", contenitore nel quale notoriamente gli sportivi si sentono liberi di esprimersi senza remore né censure. Nella piattaforma creata da Derek Jeter, ex stella dei New York Yankees, il lungo, che in un certo senso si è ora promesso fedeltà eterna con la squadra della Lob City, ha parlato a cuore aperto. Lo ha fatto in maniera convinta, ingrediente evidentemente non pervenuto nella fase delle contrattazioni con i Mavs, senza nascondere un profondo senso di liberazione dopo un logorante tunnel vissuto tra pressioni e grandi aspettative.

C’è sempre una prima volta. Il cestista ha vissuto inizialmente il suo esordio assoluto nella free agency, dopo la clamorosa eliminazione dei Clippers dai playoff per mano di Houston, con uno spirito leggero; più curioso che costruttivo, ci ha poi pensato la realtà a presentare un contesto diametralmente diverso:

"Diciamo che non mi aspettavo che la free agency fosse così. Pensavo sarebbe stata divertente. Me l’aspettavo sulla falsa riga del reclutamento all’università, ma sbagliavo. – ha tenuto subito a precisare DAJ – Non è per niente facile vivere questa vicenda, un momento ti senti al top, metti in correlazione una serie di fattori e ti rendi conto che non è quello che senti. Io mi sono sentito effettivamente così, in una fase turbolenta, sono stati giorni di grande stress. – racconta con fare catartico il lungo -  Ogni notte andavo a letto con una situazione diversa nella testa. Ho incontrato parecchie squadre, mi confidavo con la mia famiglia, con i miei amici. Cambiare aria voleva dire riflettere sulla vita e sull’organizzazione che mi avrebbe aspettato una volta compiuto il trasferimento. Parliamo di quella che sarebbe stata la mia futura “casa”, tutto gira attorno a questo concetto."

E mentre Cuban, patron dei Mavs, cercava di far chiarezza sugli ultimi rumors che parlavano di una retromarcia dell'atleta, tentando vanamente di parlare via telefono con lui. Il quartier generale del numero 6 a Houston, a ridosso della fine del Moratorium (benedetta tempistica), veniva presenziato dallo zoccolo duro dello spogliatoio Clippers, ritrovatosi in Texas, su suggerimento di Griffin, consapevole di poter fare ancora qualcosa per cambiare il destino, facendolo tornare sui suoi passi.

La missione era convincere Jordan a restare in quella "casa", con un quadriennale da 88 milioni di dollari. "Quello che mi sento di dire è che ho fatto la cosa più giusta per me. Ho preso la scelta migliore, questo è quello che conta adesso."  Missione riuscita, nonostante la ruggine fin lì mai smentita con Chris Paul, ritenuto dalla vox populi il catalizzatore per l' accordo con Dallas, ed invece addirittura presente nella famosa delegazione “keep-Jordan”: "A Chris voglio bene, sono legato a lui. – ha continuato l’ex Texas A&M - L’Nba richiede fame e competitività, la voglia di vincere è tanta, per cui sul parquet capita di avere discussioni tra compagni di squadra. E’ normale, ma tutto inizia e finisce lì". Così come questa telenovela ?