Chissà come deve essersi sentito Damian Lillard questa estate, quando, tra un workout, una linea di scarpe e un pezzo rap da promuovere sul web, gli hanno fatto sapere che, del quintetto titolare degli ultimi playoff, era rimasto solo lui. Va bene l'investitura quale unico uomo franchigia, ma per vincere, avrà pensato, servono altri campioni. Quelli che c'erano, sono stati lasciati liberi di andare e non ne sono arrivati di nuovi.

"Dame" si è ritrovato, il mattino seguente la scelta di Aldridge di lasciare la franchigia, al Moda Center, ex Rose Garden, a contemplare lo stendardo che si srotola dal soffitto ad imperitura memoria della gloria che fu e che non potrà tornare nel breve termine. Il titolo del 1977, che portava la firma di Bill Walton e di Coach Ramsay, è l'unico nella storia della franchigia, e fu vinto quando ancora si giocava al Memorial Coliseum.

Ci hanno riprovato in tanti, nonostante alcuni abbagli clamorosi nei vari draft (i Blazers avrebbero potuto scegliere sia Bird nel '78 che Jordan nell'84, ma li snobbarono entrambi). Ci è andato vicino lo squadrone di Clyde "The Glide" Drexler, Cliff Robinson e Terry Porter, guidato da Coach Adelman, che nel '90 e nel '92 raggiunse la finale NBA, perdendo prima dai Pistons e poi dai Bulls (ricorderete "the shrug", le "spallucce" di Jordan dopo la pioggia di triple che mise KO gli avversari).

Finals NBA mai più raggiunte dopo l'era Drexler, con la squadra che si è fermata alle finali di conference nel '99 e nel 2000 (sconfitta prima dagli Spurs, poi, in modo rocambolesco, dai Lakers di Shaq e Kobe). Da lì in poi i Blazers divennero noti più per le gesta fuori dal parquet che sul campo da basket. Quelli che il giornalista newyorchese Peter Vecsey, con la sua irriverente e geniale penna, definì i "Jail Blazers", sono passati alla storia come una delle più irrequiete squadre di sempre. Storie di marijuana (Sheed e Damon Stoudamire), scazzottate (Zach Randolph e Patterson), arresti per combattimenti clandestini fra cani, (vedi alla voce Qyntel Woods), menefreghismo nei confronti dei tifosi (Bonzi Wells) resero quel roster di inizio millennio famoso in tutto il mondo, guadagnandosi la simpatia dei fan al di fuori di Portland (i supporters della Rip City, altresì, cominciarono a disertare il Rose Garden). Il proprietario dei Blazers (dal 1988), Paul Allen, decise così che era tempo di smantellare la squadra e rifondare.

Se non conoscete Paul Allen, sappiate che, con buone probabilità, il software del PC che state utilizzando appartiene a lui. Allen è il cofondatore (insieme a Bill Gates) e n.2 di Microsoft. È proprietario di una delle migliori franchigie della NFL, i Seattle Seahawks, e della squadra di calcio di Seattle (i Sounders) della MLS. Non esattamente uno a cui piaccia perdere. Dopo aver tentato, invano, di scommettere su Greg Oden (scelto davanti a Durant nel 2007) e Brandon Roy, entrambi ritiratisi per infortuni irrisolvibili, i Blazers hanno finalmente trovato due uomini franchigia in Lamarcus Aldridge (scelto con la numero 2 nel 2006) e, più recentemente, Damian "Dame" Lillard nel 2012. Insieme al centro Robin Lopez, all'ala piccola francese Nicolas Batum, e alla guardia Wes Matthews, i due sopra citati formavano uno dei migliori quintetti della Lega. Peccato che la panchina risultasse piuttosto inconsistente e inadeguata ad affrontare le sfide della lunga regular season e le complicate serie di playoff della Western Conference.

Già nel 2014, dopo la straordinaria performance al primo turno contro i Rockets (46 e 43 punti nelle prime due gare) e la successiva sconfitta contro gli Spurs, Aldridge aveva manifestato segnali negativi rispetto al rinnovo di contratto. Con l'uscita di scena ad opera dei Grizzlies per 4-1 al primo turno degli ultimi playoff, è apparso chiaro che, rebus sic stantibus, i Blazers avrebbero avuto poche chance di passare da "squadra da playoff" a "squadra da titolo". È un problema questo che attanaglia diverse franchigie. Quando si arriva al meglio delle proprie possibilità con un roster, ma non si riesce comunque ad arrivare neppure vicini alle finals, è tempo di cambiare. E, nel caso dei Blazers, il cambiamento è stato radicale. Aldridge ha firmato, dopo una lunga telenovela, con gli Spurs. Batum è passato agli Hornets nell'operazione che ha portato Gerald Henderson e Noah Vonleh nella Rip City. Robin Lopez è diventato il nuovo centro dei Knicks. Afflalo l'ha raggiunto nella Grande Mela dopo soli quattro mesi a Portland. Matthews, reduce dalla rottura del tendine d'achille, che l'ha costretto a saltare i playoff e che lo terrà lontano dai campi per altri quattro mesi, ha firmato un mega-contratto con i Mavs, senza neppure ricevere una telefonata dal GM Neil Oshley (come ha dichiarato in una recente intervista, deluso dopo quattro anni di onorato servizio nell'Oregon).

In carica dal 2012, l ex dirigente dei Clippers ha convinto Allen ad abbandonare per un po' i sogni di gloria, ripartendo da Lillard e da una serie di comprimari che aggiungono solidità alla squadra, ma poco, pochissimo talento offensivo. Dalla free agency sono arrivati lo specialista difensivo nigeriano Al Farouq Aminu ex ala dei Mavs) e Ed Davis (ala/centro in precedenza ai Lakers). Il centro Mason Plumlee, ex pupillo di Garnett a Brooklyn, è stato acquistato nello scambio con il rookie scelto dai Blazers, Rondae Hollis-Jefferson. Sono rimasti il centro di riserva Chris Kaman, l'ottimo Meyers Leonard (unico del cast di supporto a salvarsi nel serie contro i Grizzlies), e le guardie CJ McCollum (probabile futuro da broadcaster e scrittore per lui, che cura da vicino una rubrica per The Players Tribune e presenzia a diverse iniziative tv) e Allen Crabbe. Play di riserva dovrebbe essere Tim Frazier (distintosi soprattutto in D-League), mentre si giocherà minuti a guardia l'atletico rookie Pat Connaughton da Notre Dame. In ala cercherà spazio l'ex Magic Mo Harkless, talento ancora inespresso. Cliff Alexander, rookie non draftato dopo una pessima stagione da freshman a Kansas, e il play Pressey, si daranno battaglia per un posto fra i 15. Resta free agent, per adesso, l'ala Dorell Wright, veterano mai realmente esploso ai livelli che prometteva sin dai tempi degli Heat.

Il roster è composto quindi da buoni giocatori, ma nessuno, Lillard a parte, mai capace di tenere medie realizzative sopra i 15 punti a partita. Ci sono, come detto, buoni difensori, mentre non è stato migliorato l'annoso problema del tiro perimetrale (la cessione di Matthews, anzi, ha peggiorato le cose). Il quintetto titolare è di non facile lettura. Meriterebbe spazio Meyers Leonard, dal quale ci si aspetta il definitivo salto di qualità, così come si spera in CJ McCollum. Veterani come Henderson e Plumlee però, dovrebbero spuntarla almeno all'inizio come starters. Ed Davis sarà l'ala grande titolare, con Vonleh, secondo anno reduce da una stagione con poche presenze a Charlotte, pronto a subentrare. Aminu e Harkless si giocheranno lo spot di ala piccola. Nessun dubbio invece su Lillard, il quale dovrebbe andare incontro ad una stagione ad oltre 20 punti di media, in contumacia Aldridge, attirando però su di sè la stragrande maggioranza delle attenzioni avversarie.

Coach Stotts ha lasciato intendere che la ricostruzione non sarà affatto indolore. I Blazers hanno poche possibilità di raggiungere i playoff a Ovest, e potrebbero presto ritrovarsi invischiati nelle ultime posizioni, con il solito dilemma di chi, non avendo nulla da guadagnare , non ha più le motivazioni per vincere le partite e comincia a cedere alla politica, magari antisportiva, ma pur sempre alla moda, del tanking. Tempi duri nella Rip City. Ma con un proprietario così, la rinascita potrebbe essere più vicina di quanto non si pensi. Non resta che cliccare sull'icona "start" e programmare la stagione al meglio.