Che qualcosa non stesse andando per il verso giusto lo si era capito già quattro anni prima a Sidney, dove il dominio non era stato di quelli netti e indiscutibili, ma piuttosto di quelli stanchi da fine ciclo che si trascina per inerzia: partite più combattute del previsto e distacchi contenuti, altro che l'harlemglobetrotterismo del 1992. E, fatta eccezione per Carter over Weis, c'era stato ben poco da ricordare.

Il disastro di Indianapolis, poi, non era altro che il segnale di chiusura stalla a buoi abbondantemente scappati: quel settimo posto ai Mondiali oraganizzati appositamente per celebrare una grandeur sfiorita nel tempo, aveva spinto la Usa Basketball a ripensare qualcosa nella composizione della squadra olimpica che ad Atene avrebbe dovuto ripristinare il naturale ordine delle cose. E, in tal senso, una grossa mano l'aveva dato il Draft dell'estate precedente: LeBron James, Carmelo Anthony e Dwyane Wade, ovvero tre delle prime cinque scelte (nonché futuri All Star), erano le punte di diamante di una selezione che comprendeva anche Shawn Marion, Amar'e Stoudemire, Tim Duncan, Lamar Odom, Richard Jefferson, Emeka Okafor, Carlos Boozer, Stephon Marbury, Allen Iverson. E, in panchina, quel Larry Brown che aveva portato A.I. ad un passo dalla gloria suprema nel 2001 e che, alle ultime Finals, aveva contribuito, da head coach dei Detroit Pistons, al disfacimento dei Lakers made by Kobe-Shaq.

Ma come due anni prima, i segnali inequivocabili vengono ancora una volta ignorati. Fin dalle amichevoli di preparazione. In particolare una, quella di Colonia del 3 agosto. Un'Italia che comincia a prendere coscienza di come l'unico limite impostole sia il cielo, demolisce letteralmente quello che più che un 'Dream Team' sembra un'armata brancaleone: 95-78 a suon di 'tiri ignoranti' di Gianluca Basile e tutti a casa.

O, meglio, ad Atene. Dove l'inizio di Team Usa vale un bell'ingresso nella storia dalla parte sbagliata: ko 92-73 contro Puerto Rico (il più alto scarto di punteggio in una sconfitta della squadra a stelle e strisce, nonché prima sconfitta in assoluto a un'Olimpiade per una selezione composta da professionisti Nba), con un Carlos Arroyo da 24 punti a vanificare la doppia doppia (15+16 rimbalzi) di Duncan. 'Nightmare Team' è ormai ben più di un marchio di fabbrica per una selezione che perde anche alla quarta partita (94-90) contro la Lituania e si qualifica alla fase a eliminazione diretta con l'ultimo posto disponibile nel girone B e con il poco invidiabile record di 3 vittorie e 2 sconfitte.

Il 94-102 inflitto alla Spagna (31 punti di Marbury) che di lì a poco avrebbe dominato il mondo, è più illusorio che mai. In semifinale, infatti, tocca all'Argentina di Manu Ginobili, in versione squadra del destino, dare forma all'imponderabile: 29 punti del 'Jefe Narigòn', e 89-81 finale, con la generaciòn dorada che si vede spalancare le porte di un paradiso che nemmeno la coraggiosa banda Recalcati può sbarrare.

Per gli 'altri', invece l'infamia di un bronzo (104-96 nella 'finalina' contro la Lituania) che significa una sola cosa: gli Stati Uniti non sono più il centro del mondo del basket. 'Nothing is given, everything is earned'. Anche per chi vive nel dorato mondo dei 'pro' Nba.

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Claudio Pellecchia
Giornalista e storyteller di e per sport, Nba addicted della peggior specie. Lo trovate anche su nba24.it e ilnumerodieci.it