"Non eravamo pronti a scendere in campo con la giusta intensità". Pensieri e parole di Russell Westbrook, leader ormai indiscusso degli Oklahoma City Thunder, indirizzate ai suoi compagni di squadra dopo la sconfitta subita a Sacramento contro i Kings, la terza consecutiva dopo quelle contro Pacers e Lakers. Un atto d'accusa verso un gruppo che sembra non essere in grado di assecondare le ambizioni del suo playmaker, definito da Billy Donovan "un candidato al premio di MVP, a prescindere dal record".

Già, il record di squadra. Dopo un inizio promettente, sei vittorie nelle prime sette gare (con l'eccezione della sculacciata subita alla Oracle Arena contro i Golden State Warriors), i Thunder hanno totalizzato solo altri due successi (in casa con Rockets e Nets), a fronte di sette rovesci, verificatisi anche contro squadre non irresistibili, come Orlando, Indiana, Detroit e Sacramento. Il bilancio è dunque ora in perfetta parita, un 50% che pone i Thunder nel gruppone di cui fanno parte anche Portland Trail Blazers, Los Angeles Lakers e Utah Jazz. Ma ciò che preoccupa maggiormente della nuova versione di OKC (senza Kevin Durant e Serge Ibaka) è l'incapacità di trovare varianti allo schema del Westbrook contro tutti, in particolare nell'ultimo quarto di gioco, quando le partite sono in bilico e il numero zero attacca su ogni possesso. Quanto sono lontani i tempi in cui Scott Brooks poteva permettersi il lusso di sguinzagliare James Harden dalla panchina, come fantastica alternativa al primo quintetto. Ora a Oklahoma City è rimasto solo il giocatore da UCLA, un fenomeno che mette insieme una tripla doppia ogni due sere, che segna e fa segnare, che costringe gli avversari ad adeguarsi alle sue caratteristiche. Eppure, il Westbrook contro tutti non è una novità: già nella stagione 2014-2015 i Thunder furono presi per mano dal buon Russ, complice l'infortunio al piede di Kevin Durant, salvo però non riuscire a raggiungere i playoffs, beffati in volata dai New Orleans Pelicans di Anthony Davis. 

Numeri e risultati di squadra sono simili a quel finale di regular season, nonostante intanto siano cambiati un bel po' di interpreti. Questa edizione dei Thunder varata da Sam Presti si affida infati - oltre a Westbrook - a Victor Oladipo, fortemente voluto e acquisito tramite trade - dagli Orlando Magic la scorsa estate. Il prodotto di Indiana è però un esterno simile allo stesso Westbrook, con una spiccata propensione alle penetrazioni al ferro e con un tiro da tre punti migliorato ma non sempre affidabile. Una backcourt potenzialmente esplosivo, per gli avversari ma anche per i Thunder stessi, perchè quando la partita diventa tutta di Westbrook, Oladipo finisce per doversi spaziare sul perimetro come spot up shooter, quasi fosse un Morrow qualsiasi, perdendo così buona parte della sua pericolosità. Discorso opposto per Andre Roberson, ottimo difensore e giocatore di sistema, ma tiratore battezzato dagli avversari per la sua scarsa pericolosità dall'arco. Tra i lunghi, si sta ritagliando uno spazio sempre più importante invece Steven Adams, il neozelandese di granito fantastico soprattutto in difesa e a rimbalzo offensivo, mentre il rookie Domantas Sabonis sta provando a riciclarsi in un quattro che allarga il campo, ma con risultati alterni. Esclusa l'eventualità di schierarsi con continuità con le twin towers Adams e Kanter, Donovan ha speso dato minuti nei finali di gara a Jerami Grant, altro giovane con doti atletiche fuori dall'ordinario, ma giocatore tutto da costruire. Westbrook e altri quattro, dunque, in una squadra che rischia diventare prevedibile nell'imprevedibilità del suo leader e che pare star cercando un'ala piccola dalla braccia lunghe e con buon range di tiro (un simil Durant, insomma). Il primo nome sulla lista di Sam Presti è quello di Rudy Gay - sempre secondo le indiscrezioni dei network americani - in rotta con i Sacramento Kings.