20-4. E' questo il bilancio stagionale in trasferta dei San Antonio Spurs di Gregg Popovich (a fronte di un curioso 16-5 sul parquet amico dell'AT&T Center). Con una partenza del genere, i neroargento sono diventati l'ottava squadra nella storia Nba a vincere venti delle prime ventiquattro gare esterne disputate in regular season, raggiungendo i Boston Celtics del 1964-65 e del 1974-75, i Philadelphia 76ers del 1982-83 e del 2000-01, i Chicago Bulls del 1996-97, e i Golden State Warriors versione 2015-16. Prossimo obiettivo, agganciare i Los Angeles Lakers del 1971-72 (22-2). 

Gregg Popovich. Fonte. AP Photo/David Banks

Il dato è ancor più clamoroso se si considera che quella in corso è la prima stagione del post Tim Duncan, con tutti gli scompensi, tecnici e di spogliatoio, che potevano derivarne. Invece, ancora una volta, gli Spurs hanno dimostrato di essere una macchina infallibile, in alcune circostanze indipendente dagli interpreti, tanto il sistema di coach Popovich è collaudato ed oliato. E d'altronde basta osservare che, nell'epoca dei superteam, in cui le contender al titolo sono imbottite di grandi stelle, l'unico giocatore che presumibilmente prenderà parte all'All-Star Game di New Orleans sarà Kawhi Leonard, scelto in quintetto per l'Ovest. Certo, si potrebbe obiettare che San Antonio abbia nel suo starting five base giocatori del calibro di LaMarcus Aldridge, Pau Gasol e Tony Parker, ma in realtà nessuno dei tre è nella fase migliore della propria carriera. Gasol e Parker per motivi anagrafici, Aldridge per questione anche (ma non solo) di numeri. Rispetto allo scorso anno, sono diminuiti gli isolamenti di LMA, a tutto vantaggio di quelli di Leonard, ormai chiaramente prima opzione offensiva dei texani. Ma non di solo Kawhi si vive all'ombra dell'Alamo, in quanto è il rendimento offerto quest'anno dalla panchina, seconde e terze linee, ad essere sinora superiore alle aspettative. Alla vigilia dell'inizio della regular season, erano molti i dubbi che aleggiavano sul secondo quintetto degli Spurs, in due anni privato di giocatori chiave per la conquista dell'ultimo titolo, da Boris Diaw a Marco Belinelli, passando anche per Cory Joseph. Ebbene, attualmente i neroargento hanno trovato risorse inattese anche dalla panchina, come dimostrato dalle ultime tre vittorie esterne consecutive, colte sui campi di Cleveland, Brooklyn e Toronto.

David Lee in azione a Brooklyn. Fonte: Nathaniel S. Butler/NBAE via Getty Images

Orfani di Tony Parker e Pau Gasol nella sfida della Quicken Loans Arena contro i Cavs, gli Spurs sono partiti in quintetto con il rookie Dejounte Murray da point guard e con il veterano David Lee da power forward. Due addictions dell'ultima estate, con diversi punti interrogativi appiccicati sulla schiena: mentre su Murray è ancora presto per dare un giudizio (ottime dote atletiche, ma gioco tutto da costruire), il responso su Lee è ampiamente positivo, perchè l'ex giramondo Nba ha già dato il suo contributo in uscita dalla panchina, confermandosi un passatore sopra la media per i parametri standard dei lunghi della lega, e ancora un buon realizzatore, capace di leggere con intelligenza cosa gli propongono le difese avversarie. Limitato nella propria metà campo (sia per fisico che per capacità di rimanere concentrato), Lee compone ora il quintetto dei passatori, quello che annovera tra le proprie fila Patty Mills e Manu Ginobili. L'australiano e l'argentino, particolarmente a proprio agio a giocare insieme, cambiano infatti ritmo alle partite degli Spurs, per una second unit che muove meglio la palla ed è anche più pericolosa sul perimetro, specie se in campo c'è anche Danny Green. Oltre al duo Ginobili-Mills, abituato a produrre punti in fretta nel corso degli anni, il general manager R.C Buford ha aggiunto al roster di San Antonio anche Dewayne Dedmon, mestierante Nba, che sembra comunque essersi calato nella parte del centro di energia e verticalità che mancava ai texani. E tra i lunghi c'è poi uno degli elementi più intriganti del gruppo a disposizione di Popovich: quel Davis Bertans che non è solo un tiratore da tre punti, ma anche un giocatore d'attacco a tutto tondo, con margini di miglioramento in difesa. Se si considera che all'occorrenza c'è spazio anche per Kyle Anderson e soprattutto per Jonathon Simmons, due giocatori opposti per caratteristiche, allora si comprende come il roster neroargento sia incredibilmente ben assemblato. I soliti camaleontici Spurs dunque (occhio al giovane Bryn Forbes altra guardia che fa la spola con la D-League), che lavorano in incognito e rifondano anno dopo anno. Forse non vinceranno il titolo, ma rimangono un esempio di eccellenza assoluta per continuità ad altissimi livelli.