Una gara-4 per lunghi tratti giocata in maniera esemplare, ben preparata da un grande allenatore come Brad Stevens, non è bastata ai Boston Celtics per riportare in parità la serie di Finale della Eastern Conference contro i Cleveland Cavaliers. Quando Kyrie Irving e LeBron James (praticamente assente nel primo tempo per problemi di falli) hanno spinto sull'acceleratore, i biancoverdi hanno resistito, ma poi non stati più in grado di trovare risposte al talento abbagliante degli avversari.

Al Horford contro la difesa dei Cavs. David Liam Kyle/NBAE via Getty Images

Un vero e proprio dream team quello costruito da David Griffin, general manager della franchigia dell'Ohio, in cui un fenomeno come Irving può esplodere da un momento all'altro, in cui un giocatore divenuto di ruolo come Kevin Love si ritrova nei panni del terzo violino. Troppo per questi Celtics, orfani di Isaiah Thomas, aggrappatisi al collettivo e al sistema di Stevens più che a giocate individuali di pur ottimi mestieranti NBA. Fin quando si è trattato di eseguire, i biancoverdi hanno mostrato il meglio del loro repertorio, andando a referto con i vari Jae Crowder e Avery Bradley, oltre ai lunghi Jonas Jerebko e Kelly Olynyk, mentre una volta che la gara si è indirizzata sui binari dell'hero ball (con interpretazioni magistrali di Irving e James), gli ospiti hanno fatto fatica a contenere la furia avversaria. Troppi problemi nella protezione del ferro e nella marcatura uno contro uno di attaccanti fenomenali, mentre dall'altra parte del campo il solo Al Horford ha pescato un paio di jolly dal cilindro, in un finale caratterizzata dalla ritrovata fisicità dei Cavs. Occasione mancata dunque per i biancoverdi? No, perchè il gap di talento tra le due squadre è troppo ampio, come d'altronde evidenziato già nei primi due episodi della serie. Non ha grossi rimpianti nemmeno coach Brad Stevens: "Anche con LeBron in panchina - le sue parole in conferenza stampa postpartita, riportate da Chris Forsberg di Espn - Cleveland aveva comunque due All-Star in campo. Sembra surreale dirlo, ma con il miglior giocatore del pianeta fuori causa, i Cavs rimangono una squadra dannatamente forte". L'assenza di Isaiah Thomas (in queste ore si deciderà se operarlo o meno) ha fatto il resto: l'infortunio all'anca del folletto di Boston ha tolto ai biancoverdi quella variabile impazzita che completa un sistema offensivo fatto di razionalità e di movimento di palla, che ha bisogno proprio di un uomo fuori dagli schemi per funzionare anche sotto pressione. 

Kelly Olynyk. Fonte: David Liam Kyle/NBAE via Getty Images

Tutti i limiti strutturali di una squadra che è già andata oltre le più rosee aspettative sono dunque emersi nel secondo tempo della Quicken Loans Arena, quando i vari Smart e Rozier sono affondati una volta che il livello dell'esecuzione dei Celtics è calato, mentre dall'altra parte salivano di colpi i Big Three di Cleveland. "Siamo abbastanza umili da sapere da soli che non abbiamo giocato bene in casa in questa serie - dice Jae Crowder - volevamo dare al nostro pubblico un'altra esibizione, migliore delle precedenti. Era il nostro obiettivo, l'abbiamo raggiunto. Ora siamo esattamente dove volevamo essere dopo le prime due sconfitte". Sulla stessa lunghezza d'onda Avery Bradley: "Siamo in debito con il nostro pubblico: dobbiamo regalare ai nostri tifosi una performance migliore. Ne siamo consapevoli, in gara-5 giocheremo duro. Vedrete, non molleremo nulla, fino all'ultimo secondo". E non può che essere questo l'ultimo obiettivo della stagione dei Celtics. Esclusa ogni possibilità di rimontare dal 3-1 contro una squadra di LeBron James, i biancoverdi di Stevens sperano ora in un'uscita onorevole, magari davanti al proprio pubblico, di certo evitando uno scarto superiore ai quaranta punti, come avvenuto in gara-2. Obiettivo realistico di chi è consapevole che di più, con il roster attualmente a disposizione, proprio non si poteva fare. Ed è per questo motivo che a Boston si continua a discutere di cosa fare della prima scelta assoluta del prossimo Draft (in programma il 22 giugno): scegliere un giovane di talento (verosimilmente Markelle Fultz) o utilizzarla come pedina di scambio per arrivare a un giocatore già affermato. Questo e altri interrogativi agitano il sonno di Danny Ainge e soci, giunti al momento più difficile della loro crescita: quella dell'ultimo passo, da squadra competitiva a corazzata vincente.