Cleveland Cavaliers e Golden State Warriors. Due franchigie che solo fino a poche stagioni fa navigavano nell'anonimato NBA, e che ora rappresentano invece il meglio che il basket professionistico a stelle e strisce possa offrire. Solo dieci anni or sono, i Dubs di Don Nelson, Baron Davis, Stephen Jackson, Jason Richardson (e Matt Barnes) mandavano al tappeto al primo turno di playoffs i Dallas Mavericks (primi in regular season ad Ovest) di Avery Johnson e Dirk Nowitzki. 

Don Nelson, Baron Davis e Jason Richardson. Fonte: Justin Sullivan/Getty Images

Nella stessa primavera, i Cleveland Cavaliers di un giovane e rampante LeBron James chiudevano l'era vincente dei Detroit Pistons, giungendo alle Finals contro ogni pronostico, salvo essere spazzati via dai soliti San Antonio Spurs di Gregg Popovich (4-0 e Tony Parker MVP). A distanza di dieci anni, Golden State e Cleveland si sono affermate al vertice della lega, non senza passare attraverso mille difficoltà. A Oakland hanno dovuto rivoluzionare il proprio management (dentro Jerry West e Bob Myers), per iniziare a ricostruire dal Draft. Chiamati via via i vari Steph Curry, Klay Thompson e Draymond Green, scambiato Monta Ellis (finito ai Milwaukee Bucks) con Andrew Bogut, i Dubs hanno iniziato il loro personalissimo cammino, tornando ai playoffs nel 2013 con Mark Jackson in panchina, prima di diventare la squadra dei record e dello spettacolo sotto la guida di Steve Kerr. Anche a Cleveland i tifosi dei Cavs hanno dovuto intraprendere una lunga camminata nel deserto prima di giungere alla terra promessa. Perso LeBron James nel 2010 (destinazione South Beach), in Ohio hanno ricostruito dalle ceneri di ciò che rimaneva della famosa decision. Due prime scelte assolute al Draft (Kyrie Irving e Andrew Wiggins, scambiato con Minnesota per avere Kevin Love), unite al ritorno del Re, hanno riportato in auge i Cavaliers, passati dall'essere una delle peggiori squadre NBA al top della Eastern Conference. Si spiegano così le tre apparizioni consecutive alle Finals di Golden State e Cleveland, all'interno di una rivalità che sembra aver raggiunto il suo apice proprio negli ultimi mesi. 

Steph Curry e LeBron James durante le Finals 2015. Fonte: Justin Sullivan/Getty Images

Nel primo capitolo della saga tra le due squadre, nel 2015, furono i Warriors dell'esordiente Steve Kerr ad aggiudicarsi il titolo NBA, in una serie caratterizzata dall'infortunio di Kyrie Irving (oltre che dall'assenza di Kevin Love) e da un LeBron James versione uomo solo al comando. Cavs con David Blatt in panchina, mai domi di fronte al superiore tasso di talento degli avversari. Due gare equilibrate in California per aprire le Finals (1-1, botta e risposta tra Dubs e James), poi il vantaggio di Cleveland una volta tornati in Ohio, fino alla scelta chiave dello staff tecnico di Kerr: fuori un impresentabile Andrew Bogut, dentro in quintetto Andre Iguodala, contro dei Cavs ridotti allo stremo delle forze e alle prese con rotazioni complicate. Nemmeno tutto l'orgoglio di LeBron bastò alla squadra dell'Ohio ad evitare il 4-2 di Golden State, premiati dal loro sistema di movimento vorticoso e contagioso, con Andre Iguodala MVP inatteso. Il secondo atto della sfida è invece storia recente, impressa perfettamente nella mente degli appassionati. Nel 2016 i Warriors giungono in finale dopo una regular season da record (73-9), si portano sul 3-1, sembrano poter chiudere i conti agevolmente contro le amnesie difensive dei Cavs, ma Draymond Green, LeBron James e Kyrie Irving si mettono di traverso.

Draymond Green e LeBron James in gara-4 delle Finals 2016. Ronald Martinez/Getty Images

L'orso ballerino da Michigan State ricasca negli errori del passato, facendosi squalificare per gara-5 (storie tese con il Re), la stessa in cui James e Irving mostrano meraviglie, allungando la serie e riportandola a Cleveland. I Cavs diventano di colpo una squadra in missione, si garantiscono la bella alla Oracle Arena, speculano sulle difficoltà fisiche e psicologiche dei Warriors, e la spuntano in un finale da "last team standing" (stoppata di LeBron su Iguodala e tripla di Irving a rompere la parità). Un anno dopo eccoci ancora alla vigilia del terzo capitolo della trilogia, con un Kevin Durant in più: difficile fare pronostici, più facile godersi lo spettacolo e augurarsi che le aspettative non vengano disattese.