Se l’NBA ad oggi è il campionato di basket per eccellenza, anni luce avanti (dalla qualità media, al numero di seguaci ed alla spettacolarità del gioco) rispetto a tutte le altre leghe del mondo, è anche grazie ai mecccanismi di salary cap e di Draft, che permettono alle franchigie di avere continuamente occasione per programmare il futuro a lungo termine e (con un pizzico di fortuna) risalire dalle posizioni più difficili.

Chi, negli ultimi anni, ha usato (e forse abusato) più d’ogni altro questi giochi di strategia e tentativi di prevedere il futuro sono i Philadelphia 76ers. I seguaci meno recenti della pallacanestro a stelle e strisce si ricorderanno Philly navigare costantemente all’ultimo posto della Eastern Conference. Di conseguenza, però, i bianchi hanno potuto pescare sempre dal meglio del Draft degli ultimi anni per mettere in piedi una squadra più che competitiva, ed il vento sembra essere cambiato nelle ultime due stagioni.

Markelle Fultz, scelta numero uno del Draft NBA 2017, sarà la vera novità della prossima stagione per i 76ers. Play dalle mani fatate capace di spezzare il gioco con la sua rapidità e di mettere a referto punti e assist come se grandinasse, Fultz era il vero pezzo pregiato di questo giro, e per averlo Sam Hinkie ha messo sul piatto la sua scelta numero 3 ed un paio di scelte future in cambio della numero 1 dei Boston Celtics. L’ex-Washington andrà a rinforzare il reparto guardie: con tutto il rispetto per i vari Bayless, Stauskas e McConnell, sembra una pepita d’oro atterrata nel deserto. Con J.J. Redick, pagato a peso d’oro con un contratto annuale da 23 milioni di dollari ma comunque uno dei tiratori più affidabili ed esperti sul pianeta, potrebbe formare una coppia capace di grandi cose.
Il deserto, però, diventa florida foresta se si sposta lo sguardo verso le altre tre posizioni del quintetto. Inanzitutto, Joel Embiid. Prima di infortunarsi per l’ennesima volta lo scorso marzo, il gigante da Yaoundé ha messo in mostra buona parte di quello che i suoi tifosi sognavano durante le due stagioni in cui non è riuscito a mettere piede in campo. Un lungo mobile, capace di tirare da tre quanto di giocare in post o fornire assist ai compagni, oltre ad uno showman come pochissimi se ne vedono sul parquet. Il talento è acerbo ed il carattere troppo spesso esuberante, ma le proiezioni non possono che essere ottimistiche. Più maturo, invece, è l’altro talento del reparto lunghi: Dario Saric è esploso nella seconda metà della scorsa stagione impattando la Lega con talmente tanta forza da finire al secondo posto nella gara al premio di rookie dell’anno. Con loro, Jahlil Okafor, che per incompatibilità proprio con Embiid ha visto i suoi minuti (e di conseguenza le sue statistiche) radicalmente calate nell’ultimo anno. È da capire se il gigante da Duke University sia incompatibile con coach Brett Brown, i suoi schemi ed il resto del roster, o se sia semplicemente un vulcano in quiete. Da Boston, invece, sono arrivate la solidità e l’esperienza (ma anche quel briciolo di follia) che appartengono ad Amir Johnson, a completare così una squadra che potrà contare anche su onesti mestieranti come Robert Covington, Justin Anderson e Timothe Luwawu-Cabarrot.

 Source: Mitchell Leff/Getty Images North America
Source: Mitchell Leff/Getty Images North America

Se da un lato le sicurezze sul talento sono altissime, a sforzarsi di avere una visione d’insieme si può notare come la franchigia della città dell’amore fraterno manchi da un lato di esperienza in questa lega (gli acquisti della free agency però aiutano a tappare parzialmente il buco) e dall’altro di solidità dal punto di vista fisico. Tutti (o quasi) gli elementi a disposizione di Brown hanno subito uno o più infortuni negli ultimi tre anni, come ad esempio Ben Simmons: l’ala australiana è stata volutamente tenuta da parte da chi vi scrive per analizzarla singolarmente. Se avete a disposizione qualche minuto da perdere su YouTube non potete fare a meno di cercare i video di highlights del suo anno universitario con la canotta di LSU. Prima scelta assoluta del Draft 2016, Simmons è una small forward solo dal punto di vista nominale. In sostanza, la sua capacità di agire con efficacia in ogni zona del campo, unita a quelle da passatore e da rimbalzista (che lo rendono un abitueé della doppia doppia) hanno fatto sprecare per lui i paragoni con Kevin Durant ed addirittura con LeBron James. La capacità di concludere al ferro, con le soluzioni più disparate, è spaventosa, ma il tiro dall’arco (proprio come quello del Re al suo ingresso in NBA) è ancora da costruire. La scorsa stagione non ha giocato neanche un minuto a seguito della frattura del quinto metatarso del piede destro, ma adesso sembra in salute e sta già mettendo in mostra qualcosa durante la Summer League.

Per concludere, in Pennsylvania sembra iniziata, eccome, la risalita: molto difficile vedere i Sixers in cima alla classifica di Eastern Conference il prossimo aprile ma (complice il calo di qualità media delle dirette contendenti) un posto ai Playoffs sembra perfettamente all’altezza. È qui, quindi, che si posa l’ago della bilancia quando ancora mancano poco meno di tre mesi alla prima palla a due della stagione. Gli elementi per spostarlo, sia verso l’alto che verso il basso, non mancano. Mai come quest’anno, a Philadelphia, sembra tutto – ma proprio tutto – possibile.