Cinque vittorie e sette sconfitte: questo il record di inizio stagione degli Utah Jazz di coach Quin Snyder, reduci nella notte dal k.o. della Smart Home Vivint Arena contro i Miami Heat di Erik Spoelstra. 74-84 lo score finale, che rappresenta un buon punto di partenza per comprendere i problemi offensivi dei Jazz, da quest'estate orfani di Gordon Hayward e George Hill, ovverosia dei due principali realizzatori della squadra di Salt Lake City nel 2016/2017.

Neanche la Utah delle scorse stagioni viaggiava a medie offensive da Golden State Warriors, sia chiaro. Ma l'addio di due pedine importanti come i G.H. ha costretto il capo allenatore Quin Snyder a trovare soluzioni alternative al suo attacco, ora nelle mani di Ricky Rubio, giunto in estate dai Minnesota Timberwolves. Il nazionale spagnolo ha già dimostrato in questo inizio di regular season di essere particolarmente migliorato al tiro in sospensione, sia dalla media che dalla lunga distanza, ma i suoi numeri parlano ancora di un giocatore ondivago come scorer. Gran passatore, Rubio non sarà mai un realizzatore, costituendo un'eccezione alla regola dell'NBA contemporanea, dove molte delle point guard della lega sono capaci di mettere insieme statistiche impressionanti (si pensi solo ai vari Russell Westbrook, Isaiah Thomas, Stephen Curry, Kyrie Irving e Damian Lillard). Difficile creare un vantaggio nell'attacco dei Jazz, per le caratteristiche dei giocatori: diversi i possessi in cui il cronometro dei ventiquattro secondi vola via in un lampo, dopo una fitta serie di passaggi, che però non sempre danno fastidio alle difese avversarie. Ovviamente, non può essere il solo Rubio - giocatore delizioso per altri versi - il problema offensivo della franchigia dello Utah. E' la conformazione del quintetto titolare, e dell'intero roster, a rendere complicato attaccare nei primi secondi dell'azione o comunque con un alto numero di possessi. La shooting guard di partenza, Rodney Hood (nella notte in panchina per far spazio al rookie Donovan Mitchell), è un tiratore, più che un giocatore in grado di costruire per sè e per gli altri un buon tiro dal palleggio. Stesso dicasi per l'australiano Joe Ingles, tra gli esterni l'uomo che sa gestire la palla anche in assenza di Rubio, ma che non ha certo nella facilità di trovare il canestro la sua caratteristica principale.

Se a queste difficoltà sugli esterni si aggiunge anche la presenza di un doppio lungo "vecchia maniera", che non apre il campo sul perimetro, ecco spiegati tutti i possessi a vuoto dei Jazz, in alcune occasioni completamente fuori ritmo (nella notte hanno segnato solo otto punti nel terzo quarto, venticinque se si considera l'intero secondo tempo). Derrick Favors e Rudy Gobert sono infatti degli interni di buona verticalità (soprattutto il francese, che è anche l'ancora difensiva dei Jazz), ma non sono in grado di prendersi tiri al di fuori di un certo range. Gobert domina sotto i due tabelloni, ma rischia di finire nella dimensione dei Dwight Howard e dei DeAndre Jordan, ovverosia dei centri atletici che fanno incetta di rimbalzi e schiacciate, ma che non hanno a disposizione un variegato gioco in post. Discorso simile per Favors, che rispetto al compagno di squadra Gobert ha tiro dalla media distanza, ma riempie l'area a degli esterni che invece, proprio per caratteristiche personali, avrebbero bisogno di avere più spazio. L'unico a poter cambiare ritmo nei Jazz è il rookie Donovan Mitchell che, forse proprio per il contrasto con gli altri giocatori del backcourt di Utah, si sta rivelando un'ottima presa al Draft. Tiro da tre punti, sfacciataggine e buone doti nell'attaccare il canestro fanno di Mitchell un prospetto estremamente interessante, anche nell'immediato, mentre i vari Thabo Sefolosha e Alec Burks non fanno certo parte della categoria dei giocatori in grado di guadagnarsi un vantaggio dal palleggio. In questo momento manca per Utah Joe Johnson, l'uomo degli isolamenti, che in più di una circostanza viene cavalcato nei momenti decisivi delle partite. Ma forse l'assenza più importante è quella di Dante Exum, talento australiano tutto da svezzare, ma comunque point guard di pura esplosività, in grado di far saltare il banco quando l'attacco batte in testa. Lo svedese Jonas Jerebko, lo scorso anno ai Boston Celtics, sta trovando invece pochissimo spazio nelle rotazioni di Quin Snyder, mentre Raul Neto e Ekpe Udoh replicano le caratteristiche tecniche dei titolari. 

Ecco perchè a Salt Lake City rimpiangono ancora l'addio di Gordon Hayward, giocatore che riusciva ad abbinare le doti di realizzatore (tiratore da tre all'occorrenza, trattatore di palla e attaccante dal palleggio), nascondendo tutti i limiti di un roster solido, imperniato sulla difesa, ma che manca di talento individuale. Quel talento a cui i Jazz hanno sopperito lo scorso anno con applicazione e organizzazione, giungendo fino alle semifinali dei playoffs della Western Conference, dopo aver battuto al primo turno (con gara-7 vinta in trasferta) l'ultima versione dei Los Angeles Clippers di Chris Paul. Poi la free agency e un difficile inizio di stagione: replicare il risultato della scorsa annata sarà estremamente complicato per Snyder e i suoi, anche perchè nel frattempo, altre avversarie si sono rinforzate (Minnesota Timberwolves e Denver Nuggets su tutte).