Atteso da almeno un anno al grande salto tra i professionisti, Lonzo Ball, prodotto da UCLA e primogenito di una stirpe di potenziali fenomeni, sta facendo subito i conti con le pressioni del mondo NBA. Ogni sua prestazione è scrutinata in maniera maniacale, quasi che il suo rendimento in campo con la maglia dei Los Angeles Lakers dovesse essere sempre un'occasione per dire l'ultima parola sul suo valore: campione in erba, fuoriclasse, sopravvalutato, pompato, tanti gli appellativi che questo ragazzo di vent'anni si è già visto assegnato in poco più in mese tra i grandi dell'NBA. 

Non ha contribuito di certo a spostare le luci dei riflettori dal ragazzo la presenza ingombrante del padre, l'ormai notissimo LaVar, personaggio pittoresco, in grado di catalizzare l'attenzione dei media statunitensi per ogni tipo provocazione utilizzata a fine lato sensu pubblicitari. Al punto da contrapporsi al presidente Donald Trump, nel caso della scarcerazione dalla Cina di uno dei suoi figli, il secondogenito LiAngelo (chiaramente di moda battibeccare con l'inquilino della Casa Bianca in questo momento storico). Per ciò che riguarda il campo, e dunque Lonzo Ball come giocatore, sussiste uno scarto enorme tra le aspettative generate negli ultimi mesi (tutte mediatiche, si intenda) e ciò che il ragazzo può davvero fornire sul parquet. Scelto alla numero due dell'ultimo Draft da gente come Magic Johnson (non il primo arrivato, ça va sans dir) e Rob Pelinka, Lonzo è stato eletto come playmaker titolare del nuovo corso gialloviola. Sfumato Markelle Fultz, finito ai Philadelphia 76ers, che rumors NBA avrebbero voluto come prima scelta di Magic, Ball si è così trovato catapultato nella franchigia con maggiore appeal d'America, da losangelino che aveva frequentato il college a UCLA. La storia di un predestinato, verrebbe da dire: ecco dunque spiegato l'hype creatosi intorno al numero due dei gialloviola, al centro di un progetto tecnico ancora tutto da sviluppare (via D'Angelo Russell proprio per trovargli spazio, oltre ad ambizioni notevoli per il futuro), ma anche sotto le forche caudine di una pressione mediatica paragonabile solo a quella che deve sopportare da anni LeBron James. Ma se LeBron è ormai abituato dal lontano 2003 a convivere con le tensioni dell'ambiente (peraltro ormai assai smorzate, in particolar modo dopo il terzo titolo, quello vinto in maglia Cleveland Cavaliers), Lonzo deve invece vivere la vita di un rookie sotto stress, molto più della prima scelta assoluta dell'ultimo (Fultz) e del penultimo Draft (Ben Simmons, fenomenale all around player in forza ai Philadelphia 76ers).

E che su Ball i giudizi siano schizofrenici, è dimostrato dai commenti che caratterizzano le sue gare, nelle quali si tende a guardare più il tabellino personale che la prestazione nel suo complesso. In caso di tripla doppia, ecco piovere elogi e paragoni estremamente ingombranti con i grandi del passato. Viceversa, in caso di basse percentuali al tiro, via con le bastonate giornalistiche da "io l'avevo detto". Nel mondo di Lonzo, qualsiasi comportamento è sotto osservazione: persino il suo allontanamento da una rissa in una delle ultime gare casalinghe dei suoi Lakers ("volevo star lontano dai guai ed evitare un tecnico", la sua spiegazione) è stato visto come un segnale di debolezza mentale, in una lega in cui nessuno fa mai un passo indietro. Ma chi è davvero Lonzo Ball, point guard dei Los Angeles Lakers e rookie più atteso degli ultimi anni? E' il nuovo Jason Kidd o un giocatore sopravvalutato dall'ambiente che in fondo lo ha prodotto? Ovviamente, e non c'è neanche bisogno di spiegare il perchè, dopo un mese di regular season il giudizio è impossibile da esprimere. Ciò che invece si può tranquillamente osservare è che Ball sta mostrando in NBA esattamente i pregi e difetti che tutti gli scout di pallacanestro gli avevano riconosciuto nella sua esperienza collegiale. Playmaker dalla grande visione di gioco, passatore sopra la media (al momento forse sotto i suoi standard, anche per un certo timore di azzardare la giocata), Lonzo ha un senso della pallacanestro proprio di pochissimi eletti. Sa perfettamente dove trovarsi in campo e come pescare i compagni, cattura rimbalzi come se fosse un'ala (o addirittura un lungo vero e proprio), ma ha enormi difficoltà al tiro in sospensione. La sua meccanica è orribile, al punto che diversi airball partiti dalle sue mani non stupiscono chi ne osserva il gesto tecnico. Le difese avversarie passano abbondantemente dietro sul pick and roll che lo coinvolge, sfidandolo al tiro ed impedendogli la penetrazione, che lui può concludere al ferro (anche in questo caso, meglio di come ha iniziato in NBA) o scaricando per i compagni.

Niente che non fosse già noto agli appassionati di pallacanestro. D'altronde, se avesse avuto anche un range di tiro quantomeno decente, sarebbe stato scelto alla numero uno, e non invece alle spalle di un altro prospetto acerbo come Markelle Fultz. Ciò che impressiona - al di là di ogni valutazione tecnica (e atletica, altro tasto dolente) - è comunque la tranquillità esteriore con cui il ragazzo si presenta in campo, l'equilibrio nel rispondere ai giornalisti (l'esatto opposto del padre) e la serenità con cui replica alle provocazioni (come nel caso della sfida contro i Washington Wizards). Ed è proprio su queste caratteristiche mentali che il giovane Lonzo dovrà puntare per migliorare i suoi attuali punti di debolezza. Costruirsi un tiro in sospensione credibile, diventare un atleta diverso, ecco le sue priorità. Al resto provvederà il talento e la capacità di controllare le partite. Una volta superati gli anni degli esordi, il futuro sarà più luminoso, a condizione di non lasciarsi abbattere e di iniziare a colmare alcune lacune che fanno parte del suo bagaglio tecnico.