"Prenderemo comunque il giocatore che volevamo", dichiarò Danny Ainge dopo aver imbastito uno scambio di chiamate con i Philadelphia 76ers (la uno e la tre) alla vigilia dell'ultimo NBA Draft. E il giocatore che volevano i Boston Celtics era Jayson Tatum, elegante ma anche incisiva ala da Duke. Prospetto grezzo per i professionisti, ma esattamente ciò che voleva la franchigia biancoverde, e che si è rivelato già fondamentale per i destini della squadra allenata da Brad Stevens, in particolar modo dopo l'infortunio choc di Gordon Hayward, alla prima stagionale sul campo dei Cleveland Cavaliers. 

Quando sono trascorsi ormai quasi un paio di mesi di regular season, Tatum è uno dei punti di forza dei Celtics primi nella Eastern Conference e titolari del miglior record tra vittorie e sconfitte dell'intera lega. Ciò che impressiona del numero zero biancoverde non sono solo i suoi numeri, praticamente sempre sopra la doppia cifra alla voce punti, ma soprattutto la tranquillità con cui questo diciannovenne gioca in una squadra da titolo, ben consapevole del suo ruolo e delle sue responsabilità. Alto e lungo, Tatum si sta facendo valere non solo come difensore, ma anche come attaccante, come dimostrano le sue percentuali dal campo: 59.6% nella restricted area, 28% nel pitturato, 43.2% nel mid-range, 50% dall'angolo sinistro, 81.8% dall'angolo destro, 47.5% in contropiede, e 52.3% dall'arco. I dati NBA non mentono e smentiscono invece chi pensava che fosse il tiro il tallone d'Achille del giovane Jayson. Sul quale si è sbilanciato Stan Van Gundy, allenatore dei Detroit Pistons, avversari dei Celtics la notte scorsa: "Chiunque dice che non è sorpreso dalle sue percentuali dall'arco, per quanto si era visto al college, mente - le parole di SVG, riportate da Chris Forsberg di Espn - pensavo fosse il miglior prospetto già alla vigilia del Draft, ha tutto dalla sua parte. Ma chiunque insista che Tatum fosse un buon tiratore è un bugiardo". Non solo, Tatum è anche un incredibile killer, un giocatore da clutch time, che non si spaventa sotto pressione, come il suo compagno di squadra Kyrie Irving: "Alcuni hanno la capacità di essere decisivi quando conta e altri no - dice Kyrie - penso che Tatum abbia abbondantemente dimostrato di poter essere in campo nei momenti importanti, senza aver paura di prendere decisioni o roba del genere. Si fida di ciò che facciamo, sa perfettamente dove e quando ci saranno opportunità per lui, soprattutto sotto pressione". Un Tatum che con ogni probabilità non vincerà il premio di rookie dell'anno solo per le straordinarie prestazioni dell'australiano Ben Simmons dei Philadelphia 76ers (sulla carta, in lizza anche Donovan Mitchell degli Utah Jazz). 

Intanto Jayson si accontenta di far vincere partite ai Celtics, come accaduto ieri a Detroit, quando un suo tiro da tre ha definitivamente piegato la resistenza di Pistons: "Il tiro che ha segnato non ha generato molta attenzione da parte degli avversari, che erano sull'altro lato del campo - le parole di coach Brad Stevens - ecco perchè era così solo. Sta beneficiando di queste situazioni, ovviamente è un ottimo giocatore che pensiamo possa fare ancora molto meglio. Quest'estate tutti parlavano delle sue giocate nel midrange fatte vedere in Summer League. E per tutta l'estate mi sono concentrato in sedute video per capire insieme a lui come prendere tiri migliori in NBA. Abbiamo fatto sedute specifiche con lui, ma ovviamente non potevamo prevedere un rendimento di questo tipo. Può ancora giocare nella zona intermedia, vogliamo che si prenda quei tiri, ma abbiamo provato a mettere l'accento sul fatto che non deve esitare dall'arco. E' molto alto, sulla ricezione può subito tirare, ma anche fare una finta e attaccare il canestro. Ora tira con facilità e si sente a suo agio ogni volta". Sulla stessa lunghezza d'onda Al Horford: "Gli piace giocare nel midrange, ma per dare alla squadra la migliore chance di giocare bene e vincere, ha dovuto sacrificarsi e fare degli aggiustamenti. Penso sia stato difficile per lui, ma una delle cose che ho subito capito di Jayson è che è bravissimo a imparare e a modificare il suo basket. Ha ancora a disposizione quel gioco intermedio, ma penso che ora si senta sempre più a suo agio a tirare da tre". Mette l'accento sul sistema dei Celtics ancora Kyrie Irving: "Quando sei in un sistema diverso, puoi giocare in posizioni differenti. L'anno scorso l'attacco di Duke era predicato sui suoi isolamenti, soprattutto dal gomito: giocava da tre o da numero quattro. E poi, già dall'high school era più alto degli altri, quindi perchè non metterlo vicino al canestro? Ma quando hai tanto talento, e ti ritrovi in un sistema offensivo come il nostro, avrai sempre buoni tiri a disposizione. Penso che abbia fatto un gran lavoro nel capire che gli avversari lo vogliono fuori dall'arco, ma lui continua ad andare alla grande sia in penetrazione che nel posizionamento sul tiro da tre".

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Andrea Russo Spena
Laureato in giurisprudenza, con una passione senza confini per lo sport. [email protected]