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NBA, tutti i guai dei San Antonio Spurs

Il caso Leonard domina la scena: Spurs senza il loro miglior giocatore e in estrema difficoltà. Quanti problemi, dagli esterni al doppio lungo.

NBA, tutti i guai dei San Antonio Spurs
Danny Green. Fonte: San Antonio Spurs/Twitter
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Di Andrea Russo Spena

Alla fine i nodi sono venuti al pettine anche all'ombra dell'Alamo. Una stagione maledetta, che vede i San Antonio Spurs ancora terzi nel ranking della Western Conference, ma con un record diverso da quello delle ultime stagioni (35-24, ma soprattutto 13-18 in trasferta), sta mostrando tutte le difficoltà dei neroargento, stretti nella morsa degli infortuni e nell'impossibilità di far girare al meglio un roster costruito su Kawhi Leonard, praticamente mai visto in questa stagione. E proprio dal prodotto di San Diego State nascono i problemi degli Spurs, che sono comunque più articolati di quanto possano sembrare: 

- Caso Leonard. L'infortunio di Kawhi Leonard rimane un mistero. Poco o niente trapela da San Antonio, come da abitudini della casa. L'MVP delle Finals 2014 è fuori causa da ottobre, addirittura dalla preseason, per una tendinopatia rotulea che lo ha costretto a saltare la maggior parte delle gare giocate in stagione. Il Leonard visto intorno a dicembre e gennaio non era al top della condizione, lontano parente del miglior two-way player dell'intera lega. Il giocatore ha poi deciso di tirarsi fuori, nonostante lo staff medico degli Spurs lo ritenga guarito. Kawhi potrebbe anche tornare dopo l'All-Star Game, ma la principale grana riguarda il frontoffice di San Antonio. Se è vero che tra Leonard e i neroargento si è incrinato qualcosa, il rinnovo di contratto potrebbe non essere scontato: si prospetta dunqe un'estate bollente per R.C. Buford e Gregg Popovich. 

- Chi crea dal palleggio? Praticamente nessuno, se è vero che a quarant'anni Manu Ginobili risulta essere costantemente l'uomo che cambia le partite degli Spurs. Unico esterno in grado di trattare la palla e di essere allo stesso tempo un realizzatore, compatibilmente con i minuti a disposizione, l'argentino spesso gioca con meri tiratori, come Danny Green o Patty Mills (l'australiano non è un playmaker e si trova a suo agio quando non ha la palla in mano), mentre Dejounte Murray è estremamente acerbo e forse non sarà mai la point guard del futuro degli Spurs. Tony Parker paga gli acciacchi e l'età avanzata: la sola esperienza non basta se le gambe non ti sorreggono. Bryn Forbes ha dimostrato di saper segnare, ma la sua presenza sul campo comporta controindicazioni in difesa, mentre Derrick White è un rookie non giudicabile. In questo contesto emerge Kyle Anderson, il tanto denigrato Slow-Mo, unico insieme a Ginobili a creare qualcosa per sè e per gli altri su basi continuative. 

- Aldridge e Gasol. L'intesa tra LaMarcus Aldridge e Pau Gasol è certamente migliorata rispetto allo scorso anno, anche perchè l'ex giocatore di Portland ha cambiato registro sia in difesa che in attacco, mostrandosi molto più attivo su entrambi i lati del campo. Il catalano rimane un professore offensivamente, meno in difesa (i suoi tempi di aiuto sono spesso imbarazzanti), ma giocare con un doppio lungo è in controtendenza rispetto all'NBA contemporanea. Dare sempre la palla in post, per poi concludere da lì (e non ripartire, come fanno i Golden State Warriors), non può bastare, nonostante sia al momento l'unica opzione disponibile. Davis Bertans aggiunge una dimensione perimetrale all'attacco, ma risulta spesso a sua volta monotematico, mentre Joffrey Lauvergne ha poco a che vedere con una squadra del lignaggio degli Spurs. Ci sarebbe infine Rudy Gay, small forward di talento in grado di ricoprire la posizione di numero quattro che però, dopo un inizio incoraggiante, è sparito causa infortunio.

- Le prospettive. In una situazione del genere, San Antonio non pare avere alcuna possibilità di competere per prendersi l'Ovest. A meno di un ritorno ad altissimi livelli di Kawhi Leonard, difficile da immaginare dopo quasi un anno di stop. Ma anche un recupero completo del numero due non offrirebbe garanzie di alta competività ai neroargento, avvitatisi su un roster che non dà molte via di uscita alle alternative Leonard e Aldridge. Mancano i lunghi passatori di qualche stagione fa, i Diaw della situazione (per non parlare di Duncan, ovviamente), oltre che gli esterni per creare grattacapi alle difese avversarie. Forse, più che pensare a quest'annata disgraziata, gli Spurs dovrebbero considerare la prossima estate come chiave per il loro futuro. Il nodo Leonard andrà sciolto, in un senso o nell'altro, e il general manager R.C. Buford dovrà provare a inventarsi qualcosa per "sconfiggere" ancora una volta il sistema NBA, per ripartire senza smantellare.