Arriva, anche quest’anno, il carnevale, e che carnevale, del mondo NBA: All-Star Weekend!


Intorno a quella che dovrebbe essere l’attrazione principale in quel di Los Angeles, ovvero graticola di schiacciate e triple della partita delle stelle, da quest’anno nel formato Team LeBron contro Team Steph invece del classico East vs West, ruotano tante gare ed esibizioni che, pur non competitive ai massimi livelli, regalano sempre ottime giocate.

Una di queste è sicuramente la Rising Stars Challenge, ovvero il “baby” All-Star Game, che coinvolge tutti i giocatori entrati nella lega nelle ultime due stagioni. Inaugurato nel 1994 come Phenoms vs Sensation, transitato dalla sfida East vs West a fine anni ’90, a partire dalla prima edizione del nuovo millennio la gara si è disputata nella versione Sophomores vs Rookies, ovvero chi è al secondo anno nella lega a sfidare la squadra dei debuttanti. Nelle ultime stagioni, dopo due tentativi di Team Shaq vs Team Chuck (con i due grandi amici O’Neal e Barkley come capitani) ed uno di Grant Hill contro Chris Webber, i giovani sono stati divisi per provenienza: USA contro resto del mondo. A scrivere il loro nome nello slot di MVP, nel corso degli anni, sono state tante future stelle della Lega: Penny Hardaway, Iverson,  Stoudemire, Anthony, Iguodala, Durant, Wall, Irving, Drummond, Wiggins. Insomma, una serata di divertimento, agonistica il giusto, ma comunque ricca di possibili spunti per il futuro.

L’edizione 2018 ha visto un comitato di selezione importante e particolare, al fine di valorizzare chi di solito agisce dietro le quinte: a scegliere i partecipanti, infatti, sono stati tutti gli assistenti allenatori delle 30 franchigie della lega, spesso e volentieri le persone più a contatto con il percorso di crescita sportiva e personale dei ragazzi nella lega. Le designazioni imponevano, da regolamento, la scelta di quattro giocatori  del backcourt, quattro del frontcourt e due jolly per ogni squadra, con l’obbligo di selezionare almeno tre rookie ed altrettanti sophomores.

A guardare i due schieramenti che si daranno battaglia sul parquet dello Staples Center si nota un fondamentale equilibrio tra le formazioni. Da un lato, infatti, troviamo il Team USA, forse leggermente superiore come livello medio: spiccano i due giovani terribili dei Celtics, Jaylen Brown e Jason Tatum, rispettivamente al secondo ed al primo anno nella lega, con una media combinata stagionale di 62.6 minuti e 27.5 punti a partita. Con loro ci sarà anche Donovan Mitchell degli Utah Jazz, a quota 19.6 punti a partita nella sua prima stagione in NBA. Out invece Lonzo Ball, che non potrà fare compagnia agli altri Lakers, Brandon Ingram e Kyle Kuzma, e sarà sostituito da De’Aaron Fox. Completano il roster John Collins, Kris Dunn, Malcolm Brogdon e Dennis Smith Jr.

Dall’altra perte, Joel Embiid è chiamato agli straordinari, dato che sarà in campo anche domenica nell’All-Star Game dei “grandi”. Lui, camerunense, guida il team World, ed accanto avrà altri due 76ers: il rookie (di fatto, avendo saltato completamente la scorsa stagione per infortunio al piede) Ben Simmons ed il croato Dario Saric, a quota 135 gare e 13.6 punti di media in carriera oltreoceano. Presenti anche i rookie europei, Frank Ntilikina (francese, New York Knicks) e Lauri Markkanen (finlandese, Chicago Bulls), così come il Lituano Domantas Sabonis ed i quasi-americani: Jamal Murray dei Nuggets e Dillon Brooks dei Memphis Grizzlies, canadesi, ed il bahamense Buddy Hield. Completa il roster un rookie solo di nome, avendo già raggiunto  i 26 anni, come Bogdan Bogdanovic, scelto al draft 2014 ma approdato ai Kings solo la scorsa estate.