Una sconfitta è sempre una sconfitta, qualunque sia la prospettiva dalla quale si osserva. Un'eliminazione, allo stesso modo, si piega a suddetti canoni. Se l'Italia fosse passata, saremmo qui ad elogiare una delle più grandi imprese mai viste su un campo da calcio. L'Italia ha perso, imbarcando acqua da tutte le parti dopo un ottimo primo tempo e dopo l'espulsione del nervoso Gagliardini. Se il centrocampista dell'Inter non avesse ceduto ai nervi, probabilmente staremmo parlando di un'altra partita. Se Donnarumma non avesse avuto la diatriba del rinnovo tra i piedi, sarebbe stato più concentrato. Tutti questi "se", mischiati ai "ma" e ai congiuntivi, non riportano indietro il cammino del sole, né tanto meno ci aiutano ad analizzare con scrupolo ciò che è accaduto nella serata di ieri. I "se", assieme ai "ma" e alle ipotesi, vanno accantonati per un attimo e va fatta chiarezza, se si vuole davvero andare oltre una semplice eliminazione cocente. 

Partiamo dal principio, l'Italia è scesa in campo dopo la partita da dentro o fuori contro la Germania. Sulla carta, al contrario degli spagnoli, la qualificazione ci è costata parecchio sia in termini fisici che in termini di defezioni (le squalifiche di Conti e Berardi hanno costretto di Biagio a reinventare). All'atto pratico, tuttavia, il passaggio del turno un tantino rocambolesco ha dato respiro agli azzurrini, di certo non protagonisti di un percorso esaltante, ma comunque arrivati con le batterie belle cariche ad una sfida così affascinante. Questa carica, mista all'epilettica voglia di fare, si è esaurita nei primi 45 minuti, dove la Nazionale di Di Biagio ha chiuso a tratti la Spagna nella sua metà campo, soffrendo il giusto al cospetto di una Nazionale qualitativamente superiore. Il bilancio di fine primo tempo era nettamente a favore degli azzurrini, che avevano avuto le migliori occasioni, culminate con una conclusione di Bernardeschi ben neutralizzata dal portiere iberico. Tanti i protagonisti positivi, da Calabria, capace di annullare prima Deulofeu e poi Asensio, fino a Caldara, passando per Pellegrini, Benassi e lo stesso Bernardeschi. 

La partita stentava a decollare, consumandosi sul sottile filo di un equilibrio definito ma inevitabilmente precario. Bastava un episodio, era chiaro, per far pendere l'ago della bilancia dall'una o dall'altra parte. Partite simili si nutrono di momenti, dettagli che paradossalmente possono macchiare prestazioni intere. E' esattamente ciò che è accaduto a Roberto Gagliardini, nervoso e ingenuo al tempo stesso, dopo un primo tempo passato a rincorrere, mettere pezze e tappare buchi. Graziato in più di un'occasione, il giovane mediano interista rifila un calcione ad un avversario dopo aver subito un tunnel. L'Italia era già passata in svantaggio, grazie ad un gol fenomenale del mattatore Saul Niguez, poi autore di una sublime tripletta. In quell'episodio, l'Italia ha trovato addirittura la forza di reagire, andando in gol con un misto di rabbia, foga e trepidazione, condensate nel sinistro di Bernardeschi, che ha trapassato un nugolo di gambe e si è infilato all'angolino accompagnato da chissà quale disegno ancestrale. Ma quell'attimo fugace, quella sensazione di essersi rimessi in carreggiata è durata davvero poco, giusto il tempo di illudere un Paese intero. Il sinistro terrificante di Saul Niguez ha provveduto a riportare gli azzurrini coi piedi per terra. Da lì in poi si è consumata la corrida, come se quel siluro del talentino dell'Atletico Madrid avesse trafitto al cuore una belva ferita, capace di rialzarsi dopo l'ennesimo colpo di frusta patito in questo campionato europeo. La qualità nel palleggio degli spagnoli, i loro scambi nello stretto e le praterie lasciate dagli azzurri allo sbando hanno sancito anticipatamente la fine delle ostilità.

Ritrovarsi con un pugno di mosche in mano è francamente inaccettabile, per una squadra partita in pompa magna come quella azzurra. Ma un'eliminazione, che sia in semifinale contro la quotatissima Spagna o ai gironi contro la Repubblica Ceca, resta sempre un'eliminazione. E' evidente la presenza di ingranaggi ingolfati, che hanno quasi tirato per le gambe i nostri azzurrini dall'inizio del torneo. La vittoria contro la Germania è stata forse il canto del cigno di questa selezione, troppo incline a squagliarsi di fronte alle prime difficoltà. Eppure, questo gruppo e questi ragazzi avevano mostrato qualcosa. Quel qualcosa che ha permesso loro di riacciuffare per i capelli la gara di ieri, grazie alla rete di Bernardeschi (autore per altro di una partita sontuosa ma intermittente).  

Dividere le colpe, attribuirle ed enfatizzarle, non rende giustizia al lavoro di tutti coloro che hanno permesso a questa Nazionale di giocarsi la partita di ieri. Dai calciatori all'allenatore, passando per i magazzinieri e i dirigenti. Ognuno di loro, come giusto che sia, medita in cuor proprio i motivi di una disfatta cocente, ma al tempo stesso più leggera se si analizza nel complesso un percorso non esaltante, partito con le speranze migliori ma naufragato a seguito di prestazioni non esaltanti, maturate partita dopo partita. Un'eliminazione è sempre un'eliminazione, specie dopo aver pregustato la possibilità di rimanere in Polonia qualche giorno in più. Ma, per l'ennesima volta, siamo costretti a rendere atto della superiorità di una Spagna uscita fuori alla lunga in tutta la sua maestosa qualità. Sembra quasi che dalla finale persa in Israele nel 2013 sia cambiato ben poco. Giusto i protagonisti, con gli azzurrini a far da comparse al cospetto dei futuri campioncini del sempreverde movimento calcistico iberico. Da Koke e Thiago Alcantara a Ceballos e Saul Niguez, e il risultato pare destinato a non cambiare mai, spingendo un Paese intero sull'orlo di una crisi riflessiva, che sembra attanagliare perennemente i protagonisti del nostro movimento calcistico. Sarà tutto come già è stato, pioveranno critiche, si parlerà di giovani con scarsa esperienza internazionale e di allenatori incapaci. Si parlerà di cali fisici e di scuole calcio inadeguate. Si parlerà di tutto questo, nella speranza, tra qualche anno, di evitare gli spagnoli, onde provare (ancora una volta) la sensazione di "vedere rosso" e venire "matati" per l'ennesima volta.

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