Il 3-0 rifilato allo Stadio Olimpico dalla Roma di Eusebio di Francesco al Barcellona di Ernesto Valverde nella gara di ritorno degi quarti di finale di Champions League non rappresenta solo una grande impresa dei giallorossi, ma anche e soprattutto un crollo imprevisto dei blaugrana, imbattuti da agosto, dai k.o. in Supercoppa di Spagna contro il Real Madrid. Per analizzare una sconfitta di queste dimensioni, è necessario tornare alla costruzione della rosa dei catalani, avvenuta quest'estate nel bel mezzo dell'affaire Neymar, per poi approfondire l'evoluzione del gioco del Barça. 

- Addio a Neymar e al 4-3-3. L'addio, improvviso e inatteso, della stella brasiliana ha scosso l'ambiente blaugrana, inducendo Ernesto Valverde a varare uno schieramento a due punte, Messi e Suarez, e un centrocampo tendenzialmente a quattro, dopo anni di 4-3-3, prima con Pep Guardiola, poi con i suoi successori, Luis Enrique su tutti. 

- Nuova solidità e tiki taka in soffitta. Ne è nato un Barcellona che ha abbandonato definitivamente il palleggio stretto e il pressing altissimo nella metà campo avversaria (calcio mostrato in Europa solo dal City e dal Napoli), per riequilibrare la squadra con due linee di centrocampo e difesa più strette rispetto al passato. Squadra corta, ma all'indietro, non in avanti. Pochi contropiede subiti, fase offensiva ridotta alle invenzioni di Messi e alle azioni nate sulle corsie esterne, con Busquets affiancato da Ivan Rakitic (doppio mediano). Il solo Paulinho, quantomeno sino all'arrivo di Coutinho, spendibile esclusivamente in Liga, ha garantito imprevedibilità e forza d'urto. 

- Desuetudine al pressing avversario. Ma se i catalani sono andati incontro a una delle debacles più rovinose della loro storia, lo devono anche alla loro desuetudine a fronteggiare il pressing ultraoffensivo degli avversari. Di tali difficoltà si era avuta una prima dimostrazione nel doppio confronto con il Chelsea, poi superato grazie alle magie di Leo Messi. Pressati fin dalla rimessa dal fondo, i giocatori di Valverde, un tempo in grado di eludere il forcing avversario con l'abilità dei loro palleggiatori, non sono riusciti a far altro che buttare la palla lunga per Suarez, condannandosi a una gara di pura sofferenza. 

- I centrali difensivi. In questo contesto entrano in gioco i centrali difensivi, Gerard Piquè e Samuel Umtiti. Come per tutte le coppie di retroguardia del calcio spagnolo, i due sono abituati a difendere a campo aperto, o quantomeno in spazi larghi, sia per l'atteggiamento avversario sia per il tipo di gioco della Liga, dove le partite sono contrassegnate da una lunghezza di schieramenti superiore rispetto a quelle delle Serie A. Paradossalmente, proprio nel chiudere a difesa schierata e nel mantenere le marcature, hanno palesato enormi difficoltà, come d'altronde accaduto in passato anche a Sergio Ramos e ai centrali del Real Madrid. 

- Iniesta, decentrato. Andres Iniesta rimane un fuoriclasse assoluto, ma poterselo permettere in fase difensiva è un lusso. Ecco perchè Valverde lo ha dirottato sull'out mancino, per avere maggior filtro centrale. Mossa che ha pagato dividendi per tutta la stagione, non ieri, quando il Manchego sarebbe stato utilissimo in mezzo al campo, per eludere la pressione avversaria. 

- Suarez, intristito. Un Barça incapace di superare il pressing di un avversario schierato con la difesa a tre (un po' come le squadre di Conte) ha abbandonato al suo destino Luis Suarez, mai servito e solo contro tutti, nella speranza di risolvere la gara con una giocata di Leo Messi. 

- Valverde, una statua di sale. L'Ernesto Valverde dell'Olimpico è sembrato lontano parente del tecnico duttile che ha condotto il Barcellona a vincere un'altra Liga (manca pochissimo ai blaugrana) nonostante un tasso tecnico non elevatissimo rispetto al top del continente (altro paradosso per una squadra che ha Messi). Già dopo il primo tempo, il Barça avrebbe dovuto cambiare, magari con Paulinho, per garantire fisicità a centrocampo e incursioni in attacco. Invece i blaugrana hanno proseguito sempre sullo stesso spartito, condannandosi a una sconfitta che è sembrata presto inevitabile. 

- Le prospettive. Questo doveva essere un Barça di transizione, del post-Neymar, ma che invece ha accarezzato a lungo sogni di triplete, facendo della solidità la sua caratteristica principale. Nel DNA del club c'è però un altro tipo di calcio, già assecondato con l'arrivo di Coutinho. Il caso Iniesta chiarirà la direzione che i blaugrana prenderanno a centrocampo, senza dimenticare l'importanza di Messi, uomo che agisce ormai da seconda punta centrale. Un 4-2-3-1 con i giusti interpreti potrebbe essere lo schieramento da cui ripartire.