Correva l'anno 1986 e la tredicesima edizione dei Mondiali si svolse in Messico. Dovremmo, forse, chiamare quell'edizione "Il Mondiale della mano de Dios" perchè la vincitrice fu l'Argentina di Maradona. Diego fu il protagonista indiscusso della manifestazione non solo per il grande giocatore che era ma anche per un episodio passato alla storia: quarti di finale, Argentina contro Inghilterra (2-1), due gol della stella dell'Albiceleste di cui uno macchiato da un clamoroso fallo di mano e successiva dichiarazione spregiudicata del numero 10: "Era la mano di Dio". L'altro gol lo trovate nella Bibbia del calcio: corsa di 60 metri palla al piede, accelerazioni, dribbling, avversari scartati come se non ci fosse non solo un domani ma nemmeno un oggi pomeriggio e palla in porta. Apoteosi.

Il Mondiale, in realtà, non doveva neanche disputarsi in Messico, bensì in Colombia. La nazione colombiana dovette però rinunciare all'impegno preso a causa della mancanza di strutture idonee e necessarie e per problemi interni politici ed economici. La scelta cadde, perciò, sul Messico che divenne il primo Paese (all'epoca) ad ospitare per la seconda volta la Coppa del Mondo.

I convocati:

Il girone del Tricolor, con i parametri di giudizio di quel tempo, era particolarmente abbordabile: Belgio, Iraq e Paraguay. Batterono i Diavoli Rossi per 2-1 (reti di Fernando Quirarte e Hugo Sánchez), vittoria di misura con i Leoni di Babilonia (sempre gol di Quirarte) e pareggio, 1-1, con la Albirroja (gol di Luis Enrique Flores. In quest'occasione Sánchez sbagliò un rigore che - però - non condizionò negativamente la gara dei messicani). Agli ottavi incontrarono la Bulgaria e vinsero autorevolmente per 2-0, sul tabellino i nomi di Manuel Negrete e Raul Servin.

Alla fase successiva il Messico si vide costretto ad affrontare l'allora Germania Ovest ma nessuna delle due squadre brillò e la partita terminò con uno sterile 0-0 sul tabellino. In realtà vi furono molte polemiche, in seguito, a causa di un gol annullato ingiustamente al Tricolor nei tempi regolamentari. Si arrivò ai rigori, dove i Tedeschi si imposero per 4-1 e la favola messicana terminò lì (video sotto). I quarti di finale sono stati il miglior piazzamento di questa nazionale ad una Coppa del Mondo.

L'allenatore, Bora Milutinovic, aveva chiuso con la carriera da giocatore esattamente dieci anni prima, all'età di 32 anni. Il nome non è certamente esotico e non ricorda neanche vagamente la musicalità propria della lingua spagnola. Bora è infatti di origine jugoslava-serba, tuttavia sposò una messicana e assunse tale cittadinanza.

Condurre il Messico ai quarti fu una vera impresa per il tecnico ma non tutti concordavano su questo, forse nemmeno lui. Infatti un anno dopo, nel 1887, lasciò l'incarico di CT del Tricolor per allenare la Costa Rica la quale anch'essa divenne una delle rivelazioni della successiva edizione dei Mondiali italiani (1990) approdando e fermandosi al traguardo degli ottavi di finale.

La stella di quel Messico era indubbiamente Hugo Sánchez Márquez. Nato a Mexico City sotto il cielo di una notte d'estate del 1958, precisamente un 11 luglio. Potete chiamarlo anche Pentapichichi o HugoGol perché può vantare 5 trofei da capocannoniere della Liga, in cui vi ha militato per 12 anni con differenti maglie (Atletico Madrid, Real Madrid, Rayo Vallecano...) e diventando il terzo miglior marcatore della storia della Primera Division con 234 gol in 347 partite (al secondo posto c'è Lionel Messi con 243 in 277 apparizioni, mentre il primo piazzamento è occupato da Telmo Zarra con 251 in 278 match). Viene ricordato da tutti per il numero che meglio lo identifica: la rovesciata. I suoi gol erano sempre dedicati alla sorella, atleta di ginnastica, infatti HugoGol si esibiva sempre in una acrobazia frontale dopo aver gonfiato la rete. Dal 1977 al 1994 Hugo ha giocato 58 match per il Messico e segnato 29 gol.

Sánchez non giocava sul campo, lui si muoveva in aria. Adorava la chilena, il modo più appariscente ed ostentato di segnare un gol. Abile nel muoversi in aria, questa forza probabilmente proveniva dal duro lavoro svolto in palestra da quando era poco più che un ragazzo. A 15 anni rimaneva ad osservare suo fratello Horacio giocare a calcio a livello amatoriale e dopo molte suppliche ad Hugo fu permesso di allenarsi con lui. Le sue abilità gli valsero il soprannome di "Niño de Oro" e un posto nella squadra messicana per le Olimpiadi del 1976.

Gli anni 80 furono per Sanchez i migliori: era passato dalla sponda rojiblanca di Madrid a quella blanca nel 1985, il perché non c'è neanche da chiederselo. Quelli erano gli anni del dominio del Real Madrid in Europa ("La Quinta" Champions), gli anni di Juanito Maravilla, di Butragueño, di Valdano...

Il Pentapichichi, a Madrid, era colui che regalava spettacoli. Aveva un tiro superlativo, era letale dalla distanza e la sua percettività gli garantiva di essere in ogni posto del campo e di saper ricevere ovunque la palla. Tutto questo accompagnato da un tocco sublime e acrobazie coinvolgenti. Hugo racchiudeva nella sua figura il divertimento del gioco del pallone, lo show, era architetto in ogni azione e trasmetteva una voglia di arrivare lontano. Una voglia di tifare che il Messico si porta ancora dietro anche se Sánchez ora non gioca più.