Il battesimo di San Paolo ha messo subito le cose in chiaro. Scorta, in portoghese, si dice «escolta». Lo so, i miei pazienti preferiscono errore, episodio, fatalità. Per toreare la Croazia – timida per un tempo e poi, via via, sempre meno – il Brasile ha avuto bisogno della caricatura di un rigore: Lovren su Fred, con tuffo carpiato al minimo contatto braccio-spalla. In Italia, l’autopsia sarebbe durata mesi. L’arbitro era tale Nishimura, giapponese. Il fatto che un Mondiale coinvolga gli arbitri di tutto l’universo non significa che possa contare sugli arbitri migliori. Al contrario: per poter contare sui migliori arbitri, dovrebbe pescare molto in Europa e molto meno in altri continenti. Ma questo, per i superficiali, è razzismo.

La seconda considerazione riguarda il livello dei portieri. Pletikosa ha sulla coscienza il primo e il terzo gol, e pure sul penalty avrebbe potuto fare meglio, al di là delle soste e delle sieste di Neymar. Il quale Neymar occupa nel Brasile lo spazio e le mansioni che il Barcellona dedica a Leo Messi.

Non è stato Neymar, il migliore. E’ stato Oscar. Tra i croati, il vecchio Olic ha torturato Dani Alves. Mi aspettavo di più da Modric e Rakitic, molto di più da Kovacic. Il contributo di Jelavic ha dilatato il rimpianto di Mandzukic. Lo scarto di due gol non esiste, ma il calcio si ciba di quello che trova, non di quello che sarebbe giusto ricavasse dalla trama.

Mai, nella storia, un Mondiale era stato inaugurato da un autogol (Marcelo). Il Brasile di Scolari ruota attorno al talento di Neymar e alla corazza italianista del gruppo. David Luiz spalla di Thiago Silva mi sembra un azzardo. Ho colto, più in generale, tanta tensione, tantissima pressione. Ogni brasiliano si porta dentro l’ergastolo esistenzial-emotivo del 1950, dal quale potrà «evadere» soltanto alzando la sesta Coppa.