Nella notte di San Valentino, il Barcellona rimette indietro le lancette dell'orologio alla primavera del 2013, quando i blaugrana allenati da Tito Vilanova furono spazzati via dal Bayern Monaco di Jupp Heynckes (4-0 all'Allianz Arena, 0-3 al Camp Nou), poi vincitore di quella edizione della Champions League. Competizione che, con ogni probabilità, vedrà eliminati tra tre settimane proprio i catalani di Luis Enrique, ieri schiantati al Parco dei Principi dal Paris Saint-Germain di Unai Emery.

Giocatori del PSG ieri al Parco dei Principi.©AFP/Getty Images

Che l'eliminatoria sarebbe stata complicata per il Barça, lo si era evinto già dal sorteggio dello scorso dicembre, quando dall'urna di Nyon i blaugrana avevano pescato ancora una volta i parigini. Come spesso accade, incontrare in più occasioni una stessa squadra aiuta a comprenderne  limiti e debolezze, riuscendo a identificare i punti in cui colpire. Esattamente ciò che si è verificato ieri al Parco dei Principi, dove è andato in scena un vero e proprio massacro, un bagno di sangue catalano inatteso, quantomeno nelle proporzioni. L'impatto con la Champions League è stato terribile per il Barcellona, abituato ai ritmi leggeri della Liga, crivellato di colpi da un avversario che ha infierito, legittimando una vittoria storica per svolgimento del match e dati statistici. Numeri che parlano chiaro: dieci tiri nello specchio contro uno, 114 km percorsi contro 104, 46 palloni recuperati contro 36, tutto in favore dei parigini, che hanno aggredito i rivali a partire dal primo minuto, senza mollare la presa fino al novantesimo. Neanche l'assenza di un giocatore gigantesco come Thiago Silva ha intimorito i padroni di casa, schierati da Unai Emery con un flessibile 4-3-3, alla bisogna modificabile in 4-1-4-1.

Julian Draxler dopo il gol del 2-0. ©AFP/Getty Images

Ma più del modulo, a fare la differenza è stata la velocità - doppia - dell'esecuzione del piano partita del PSG. Pressing alto, come nelle attese, due esterni offensivi come Julian Draxler e Angel Di Maria che venivano a giocare tra le linee, esponendo al pubblico ludibrio Andrè Gomes e Andres Iniesta, due mezze ali di lotta e di governo come Blaise Matuidi e Adrien Rabiot, che hanno martellato per tutto il corso dei novanta minuti. A ciò si aggiunga un centravanti di movimento come Edinson Cavani, letale sotto porta e pronto a ripiegare in fase difensiva: ecco servito il cocktail al veleno risultato indigesto al Barça, mai in partita, quasi sorpreso dallo scorrere degli eventi, con un Messi irriconoscibile e un Iniesta in versione sunset boulevard. In casi del genere, quando è tanto netto il dominio di una squadra sull'altra, è difficile stabilire dove finiscano i meriti dei vincitori e dove inizino viceversa i demeriti degli sconfitti. Giusto cominciare dal PSG, che ha attuato una tattica di gara pronosticabile: blitz di pressing alto, alternati a momenti in cui tutti i dieci giocatori di movimento si ritraevano nella propria metà campo, per ripartire a mille all'ora una volta recuperata palla.

Rabiot durante una delle sue folate offensive. Fonte: Manel Montilla/Mundo Deportivo

E' ciò che hanno fatto, sotto la regia di un meraviglioso Marco Verratti (mai abbastanza considerato in patria), Matuidi, Rabiot, Draxler, Di Maria, e gli esterni bassi Meunier e Kurzawa, sfondando senza trovare mai opposizione. Come nelle peggiori versioni del Barcellona, i blaugrana si sono ritrovati lunghi, slabbrati, esposti a folate di vento gelido e tagliente, che il malcapitato Ter Stegen è riuscito a contenere per quanto era nelle sue possibilità. Il resto della flotta catalana è colato a picco al primo impatto con le ondate dei parigini. Sergi Roberto, abbandonato al suo destino contro Draxler, Piquè e Umtiti, costretti a difendere uno contro uno con avversari dalla qualità elevatissima, Jordi Alba, sballottato a destra e a manca dal duo Meunier-Di Maria. Ma dove il Barça ha imbarcato acqua fino a naufragare è stato a centrocampo: la scelta di Luis Enrique di inserire Andrè Gomes per Rakitic si è rivelata sciagurata. Il portoghese, già compassato di suo, è stato letteralmente tritato dalle mezze ali avversarie, senza peraltro offrire un contributo accettabile in fase offensiva, dove ha sprecato la palla dell'1-1, sull'unico guizzo degno di nota di un irritante Neymar. Negli spazi aperti dal piano tattico di Emery, sono poi emersi i limiti di mobilità di Sergi Busquets, ottimo metronomo quando si tratta di coprire una porzione ristretta di campo, lento e fuori posizione se le squadre si allungano. Peggio ha fatto forse solo Don Andres Iniesta, mai in grado di mettere sull'erba del Parco dei Principi la sua tecnica e personalità, travolto da ritmi che non possono essere più i suoi.

Leo Messi ieri al Parco dei Principi. Fonte: Manel Montilla/Mundo Deportivo

In questo contesto - squadra lunghissima e disorganizzata - Leo Messi ha provato a fare da collante tra quel che rimaneva del centrocampo e l'attacco, venendo a cercare fortuna sulla propria trequarti, finendo però nelle fauci del centrocampo avversario. Da una sua palla persa è nato il gol del 2-0, dal suo sconforto non è più riuscito a risalire la corrente il Barça, squadra ciclicamente soggetta a imbarcate di questo tipo, non appena le distanze tra i reparti si allungano e il campo da coprire diventa improvvisamente enorme. Non una novità quindi, per una formazione costruita come un'orchestra, abituata a suonare sempre lo stesso spartito. Quando la musica cambia - e gli interpreti steccano - il risultato è una prestazione horror come quella di ieri.